Francesco Mele un illustre senatore calabrese

Articolo apparso su "Calabria Letteraria" marzo 1991

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    Nacque in Dipignano il 6 febbraio 1854 da Salvatore Mele e da Prudenza Valentini. Dopo aver seguito gli studi ginnasiali a Scigliano e quelli liceali nel Liceo "Telesio" a Cosenza, conseguì, nel 1879, la laurea in Giurisprudenza nella Regia Università di Napoli.
Giovane di grande ingegno e di vasta cultura, frequentò i Cenacoli più importanti di Napoli, avendo dimestichezza con i letterati e gli storici più insigni, che accorrevano nella «capitale del Mezzogiorno» da ogni parte d'Italia. Gli anni che trascorse a Napoli per seguire i corsi universitari trovano il Mele al centro di un'intensa attività: mente aperta e sensibile, avvertiva l'esigenza di un nuovo corso che avrebbe dovuto trasformare l'Italia in funzione di grande potenza europea e per nulla trascurando la soluzione dei gravi problemi che erano nati con l'Unità e che affliggevano la vita dell'intero Paese. Seguiva, quindi, attentamente, l'evolversi delle diverse fasi politiche, e comprendeva ed annotava le difficoltà in cui si erano venuti a trovare gli uomini dei governi che si alternavano in una dinamica che non portava a nulla. Fuori dell'ambito propriamente universitario, approfondiva quei settori più vicini alla sua posizione ideologica facendone oggetto di ricerca e di studio. Così si spiega il suo correre nelle redazioni dei giornali politici del tempo, dove si dibattevano i grandi problemi. Il Mele, dunque, fin d'allora mostrava inclinazione per la politica e si sen­tiva stimolato da tutti quegli avvenimenti che nel momento suo napoletano erano oggetto di dibattito. E non era il solo che si allontanava dagli ambienti universitari per interessarsi di politica. Non bisogna, però, dimenticare che il giovane Mele proveniva da una regione fortemente depressa per cui sarebbe stato impossibile risollevarla. Ma egli aveva capito che il Mezzogiorno era carico d'intelligenza e che dove c'è intelligenza c'è avvenire. Ed era d'accordo in questo con Rocco De Zerbi, giornalista, scrittore e uomo politico, ideatore e direttore del •<Piccolo» il terzo giornale di Napoli per importanza dopo il «Pungolo» ed il «Roma» (1). La redazione di questo giornale, il più letto del Mezzogiorno specialmente per i suoi articoli «pieni di fosforo», fu il luogo dove il Mele foggiò il suo abito di meridionalista, interpretando e commentando i fatti sia che riguardassero la cronaca, sia che riguardassero la politica. Il De Zerbi vide in lui un giovane di non poca iniziativa per cui gli vaticinò una splendida carriera politica. Certo non fu lui a determinarlo per questo o quel partito, per questa o quella corrente: De Zerbi, che in Parlamento non ebbe mai una precisa collocazione, nel mentre osteggiava i rappresentanti della sinistra non era tenero con quelli della stessa destra. L'essenziale per il Mele era, allora, di non crearsi conflitti, perciò scelse una via di mezzo: osservare con discrezione e barcamenarsi tra i diversi schieramenti dai conservatori ai radicali, prefiggendosi un'assoluta imparzialità tra le numerose tendenze ed opinioni. Per questo si spiega che il Mele universitario apprezzava sia Marx che Engels perché con i loro studi avevano saputo mettere in luce le origini della società capitalistico-borghese e le crudeli condizioni della classe operaia. Ritornò a Cosenza qualche anno dopo, ed iniziò l'esercizio della professione forense, facendosi ben presto notare quale ottimo oratore tra i primi della Curia cosentina. Dopo pochi anni di esercizio, tanto nel ramo civile che in quello penale, il suo nome diventò popolare nella Provincia e fuori, e Cosenza, con elezione plebiscitaria lo volle consigliere comunale nel 1887; da quell'anno incominciò la sua vita pubblica, nella quale egli portò una nota singolare di competenza e, soprattutto, una correttezza eccezionale.
In questi anni il Mele fece sentire la sua parola nel fermento di idee che animava la società, dimostrando cosi di possedere altre doti che esulavano dal campo giuridico, rivelando un temperamento equilibrato e dimostrandosi un intellettuale saggio. Gli articoli di indole politico-amministrativa apparsi sui giornali del tempo («La Lotta», «Lotta Civile», «L'Avvenire», «Cronaca di Calabria»), ebbero molto successo. Pochi, però,ne conoscevano l'autore, perché il Mele preferiva l'anonimato alla sponsorizzazione.
Egli,ancora matricola politica, dimostrava nei suoi articoli di conoscere bene i problemi che agitavano la coscienza pubblica del Paese di fronte ad uno Stato che non era «strumento efficace» di riforme sociali.
Significativo è quel che scriveva il Mele. secondo cui lo Stato non doveva limitarsi a tutelare gli interessi delle classi dominanti, ma doveva intervenire nei fenomeni di distribuzione della ricchezza regolandoli secondo giustizia, in particolare nel Mezzogiorno: «...è l'indifferenza del governo che ci umilia. Noi siamo pronti a rendere al Governo tanta gratitudine, in compenso del sacrifizio che avrà fatto. ricordandosi che l'Italia non deve essere matrigna solo per noi» (2).
Per il Mele il Mezzogiorno aveva conosciuto due date fatali, dirà più tardi: il 1860 e il 1887. L'Unità d'Italia aveva segnato l'inizio di un «drenaggio continuo di capitali dal Sud al Nord ad opera della politica intrapresa dal nuovo Stato». Strade maestre dell'assorbimento e della redistribuzione al Nord della ricchezza monetaria del Sud, erano state la vendita dei beni ecclesiastici e demaniali, e, soprattutto, della rendita pubblica. Ma il colpo di grazia per il Sud doveva venire con la tariffa protezionistica (1887), che doveva operare «una rivoluzione profonda in tutta l'economia nazionale». Francesco Mele già maturava, come si vede, il nocciolo della sua realistica visione del Sud Italia in generale e della Calabria in particolare; già intuiva quanto inconsistenti e pericolose fossero le illusioni sulla «realtà economica e morale» del Mezzogiorno e sulle prospettive di una eventuale «saldatura» tra Nord e Sud.
Ma vediamo di ricostruire il faticoso cammino che portò Francesco Mele da Dipignano a Palazzo Madama.
II mandamento di Dipignano, suo paese nativo, lo volle suo rappresentante nel Consiglio Provinciale della Calabria Citeriore, carica che egli tenne con costante unanime fiducia dei suoi elettori fino al 1912.
Nel 1891 fu eletto Vice Presidente del Consiglio Provinciale e, nel 1895, con costante universale fiducia, ne fu nominato Presidente; carica nella quale fu riconfermato fino al 1912, sempre con votazione plebiscitaria.
Oggi in cui la politica non è più quella di un tempo, è piacevole sottolineare questo costante plebiscito dei colleghi del senatore dipignanese, che molto lo stimavano e lo amavano, in una carica altissima nella quale non ebbe competitori. Con le sue idee dava alla politica la sua direttiva personale ed avviava il suo personale lavoro seguendo sempre la stessa linea, partendo dall'analisi sistematica delle vicende politiche e dei problemi amministrativi e finanziari della Calabria nel «nuovo Stato».
Di questa linea di attività ne sono testimonianza i discorsi pronunciati nel Consiglio Provinciale di Cosenza e, successivamente, negli «interventi» nel Senato del Regno.
Da questi discorsi è, dunque. possibile cogliere il formarsi dei giudizi e del pensiero di Francesco Mele, che può considerarsi, sia per formazione, sia per ideali politici. un uomo di destra, ma, in sostanza, egli rappresenta quella generazione pienamente postrisorgimentale. estranea alle divisioni del passato, aliena dalle tendenze sostanzialmente aristocratiche, quando non autoritarie, della passata classe dirigente.
Un personaggio come il Mele sfuggiva in buona parte alla logica dei meccanismi locali del potere, o, comunque, non vi traeva un fondamentale alimento, perché godeva di un peso specifico personale — abilità politica, preparazione giuridica. capacità oratorie — che gli assicurava non solo la permanenza, ma anzi una posizione di prestigio culturale e politica.
Le testimonianze e i documenti raccolti ci presentano il Mele come un valente oratore per la parola precisa, misurata, concettosa, signorile, sicché i discorsi che egli pronunciava, erano attesi con vivo desiderio, ed ascoltati con religioso silenzio e «con grande godimento intellettuale» dai colleghi e dal pubblico.
Il Mele fu Presidente del Consiglio di Disciplina dei Procuratori e, poi, Presidente del Consiglio dell' Ordine degli avvocati. Della stima e della, simpatia che generalmente godeva, si servi per sostenere gli interessi della Provincia, alla quale rese non pochi servizi. Si deve al suo tatto e alla sua prudenza, se le agitazioni che si verificarono per le Ferrovie complementari, all'inizio del secolo, non degenerarono in sanguinosi tumulti e se fu evitata la minaccia di dimissioni in massa dei comuni della Provincia (3)
Ed il Governo del tempo, che era consapevole dei pregi di questo straordinario amministratore, nel 1908 lo nominò Senatore del Regno per la sedicesima categoria. senza che a lui ne fosse pervenuta notizia, se non pochi giorni prima (4). Tale nomina fu accolta a Cosenza e in tutta la Calabria con sincero entusiasmo, e «Ciccio» Mele (così veniva chiamato dagli amici), accolse, come al solito, quasi sorpreso, con grande modestia la nomina, telegrafata dallo stesso Giolitti: «Mi è grato informarla che S.M. il Re (Vittorio Emanuele III), ha, in data odierna, firmato il decreto che la nomina a Senatore del Regno. Con le mie sentite congratulazioni, le porgo la conferma della mia distinta stima. Giovanni Giolitti» (5).
Meritatamente, dunque, veniva chiamato alla carica vitalizia da Giolitti, il quale ebbe per lui grande stima, e per il quale Francesco Mele ebbe sentimenti di gratitudine. Ma a Giolitti, si intenda bene, il senatore di Dipignano non fece mai dedizione delle sue convinzioni politiche, che restarono, come già accennato, quelle della «Grande Destra», della destra di Cavour e di Vittorio Emanuele II, i quali avevano fatto l'Italia del Risorgimento, di quella Destra storica, che cadde dopo la rivoluzione parlamentare del 1876.
Fa veramente piacere, rileggendo vecchi giornali della capitale, constatare, ad esempio, che «La Vita» (uno dei più autorevoli giornali di Roma) così scriveva a riguardo del neosenatore: «Nel Senato, l'On. Mele porterà un'alta competenza amministrativa e un'attività ancora giovane: egli infatti è poco più che cinquantenne, e può essere non un senatore decorativo, ma fattivo».
E mentre tutti i giornali del Mezzogiorno e quelli della capitale riferivano di questa elevazione ai Laticlavio, Gaetano Manfredi, il celebre avvocato, definito il «colosso dell'eloquenza italiana», così scriveva all'amico «Ciccio» Mele: «In tè si è voluto onorare la dignità della vita,l'equilibrio e la misura che sono doti dell'intelletto e del carattere» (6).
Dalla tribuna del Senato il Mele non mancò di reclamare dal governo quei provvedimenti che più urgevano per l'annosa risoluzione del problema meridionale e, in particolar modo, per la Calabria. Una conferma del suo impegno, nell'affrontare i temi scottanti della «questione meridionale», ci è data dalla corrispondenza epistolare tra due grandi meridionalisti: Giustino Fortunato e Gaetano Salvemini. È interessante riportare alcuni stralci di queste lettere. Fortunato nel rivolgersi a Salvemini scriveva: «Tu sarai festeggiatissimo a Cosenza, ove conoscerai un degnissimo uomo, il senatore Mele, mio amicissimo»; e in un'altra lettera, sempre scritta da Fortunato a Salvemini. si ha il piacere di leggere: «Ottimo il Mele. Se tutti i professionisti del Mezzogiorno somigliassero al Mele, felice il Mezzogiorno!».
E il Salvemini. invitato a Cosenza dallo stesso Mele, per studiare insieme i nodi cruciali del problema del Mezzogiorno, così rispondeva:
«Carissimo Giustino, ieri passai alcune ore col Mele: ottimo e simpatico uomo: mi parlò di te con grande affetto e venerazione... sono contento di questo viaggio in Calabria. Il Mele fu assai buono e gentile. Mi si presentò ricordando l'affetto che tu hai per me. in maniera proprio commovente. Non poteva mettermi sotto miglior patrocinio» (7).
A Palazzo Madama il senatore Mele seppe farsi apprezzare per la sua cultura, per la modestia e la gentilezza dei modi. che gli acquistarono. ben presto, l'affettuosa amicizia degli uomini più insigni di quell'alto Consesso: Giolitti. Salandra. Orlando. Sennino, e anche un grande scienziato, il senatore Guglielmo Marconi.
Per tutto il 1909 Francesco Mele prese parte, in Senato, a tutte le discussioni dei provvedimenti emanati dallo Stato a favore delle città di Reggio Calabria e di Messina, rase al suolo dal terribile sisma del 28 dicembre 1908. Il terremoto evidenziò la fragilità delle strutture del Paese, e la «questione meridionale», alla quale il Mele dedicò tutto il suo impegno politico, si ripresentò in tutta la sua gravita.
Il senatore Mele fu relatore di due importantissimi disegni di legge, riguardanti provvedimenti urgenti nelle zone colpite dal terremoto.
«Dall'importanza di tali disegni di legge — scrive "II Giornale di Calabria" il 12 luglio 1910 —, si può dedurre senza dubbio la prova della considerazione cui l'eminente relatore Mele è tenuto in Senato»
Negli anni successivi molte sue interrogazioni furono considerate tra «le più nere requisitorie» che fino ad allora erano state pronunciate a Palazzo Madama contro l'incuria del governo italiano per la sventurata terra calabrese. Il Mele tu relatore di numerosi progetti di legge. fra cui quelli che riguardavano il Fondo Silano e il piano regolatore di Cosenza. quest'ultimo studiato di comune accordo con l'On. Luigi Fera (deputato dei Partito Radicale, di cui era uno dei leaders).
Sul problema dell'entrata in guerra dell'Italia, nel 1914. Mele prese posizione pubblicamente come interventista. Aderì, infatti, alle posizioni dei conservatori capeggiati da Salandra. allora Presidente del Consiglio, e dal Sonnino (Ministro degli Esteri nell'ottobre 1914).
Il Mele. in Senato, votò la legge dei pieni poteri nell'imminenza della grande guerra, ed energica e attiva fu la sua opera durante l'immane flagello.
L'epilogo di una vita modesta
Dopo la vittoria dell'amata Patria. benché colpito da un terribile male. il senatore Mele continuò a lottare per i suoi ideali, spendendo le poche energie rimaste per la risoluzione (ahinoi. mai avvenuta!) della «questione meridionale».
Gli ultimi anni del Mele furono un lungo e continuo travaglio. Nessuno avrebbe sospettato che dietro quel sorriso sempre aperto, dietro quella faccia bonaria, che gli cattivava quella simpatia e quell'affetto di quanti lo avvicinavano, si celassero le più atroci sofferenze fisiche.
L'eminente uomo politico, l'amministratore sempre attento per il retto andamento della cosa pubblica, passava poi nella sua casa di Dipignano lunghe ore di strazio e d'insonnia. Inutili erano state le cure più intense e premurose prodigategli dal suo amico, professore sen. Carli di Torino. Poche settimane prima di morire scrisse queste parole al collega On. Luigi Torrigiani: «La mia assenza dal Senato, caro amico, è definitiva. Da cinque mesi sono gravemente infermo, martoriato, straziato da un. epitelioma al collo, che lentamente e crudelmente mi trascina alla tomba, alla quale aspiro come all'ultimo mio sollievo. Non ci vedremo, dunque, più in questo mondo, io che sono un fervido credente, mi lascio vincere dalla speranza che troverò in un mondo migliore tante persone a me care e tante altre mi raggiungeranno, alle quali, di gran cuore, auguro lunga e felice vita. Di tutti i senatori che ho conosciuto porto meco un ricordo rispettoso e affettuoso che nemmeno la morte potrà cancellare. Possano essi, cui auguro fortuna, ricordare. talvolta, non senza qualche simpatia, il mio povero nome, la mia modesta persona. Addio, per sempre, caro Luigi. Iddio ti renda felice» (8).Questa lettera è veramente un documento di fede autentica, di forza e di bontà d'animo di Francesco Mele. Toccanti sono anche le parole del suo testamento: «...Desidero essere seppellito nel modesto Camposanto di Dipignano, accanto ai miei vecchi e adorati genitori. Il pensiero che possa, per la grazia di Dio. essere a loro ricongiunto, mi rende meno amara la morte. Non voglio accompagnamenti, non musiche. non corone, non discorsi, non commemorazioni. Questo mio vivo e fermo proposito deve essere subito telegraficamente comunicato a tutte le assemblee, delle quali feci parte, a cominciare dal Senato. Il mio cadavere sarà messo in una cassa comune e accompagnato da due preti, possibilmente amici, e preganti per l'anima mia.
Quando sonerà la mia ultima ora — e molto non può tardare — io lascerò questo mondo con grande dolore, ma senza rancori per alcuno o per alcuna cosa.
Spero, pertanto, che Dio mi accoglierà. generoso e clemente, sotto le grandi ali del suo perdono...
Ed in ultimo prego i soli eredi usufruttuari di distribuire, prelevandola dal capitale, la somma di lire cinquecento ai poveri del nostro caro paese d'origine» (9).
Straziato da dolori atroci, il pomeriggio di venerdì 24 ottobre. Mele moriva.
Modesto sino all'ultimo, volle che le sue esequie fossero fatte in umile forma, senza cortei, senza fiori, senza discorsi. «Ma ciò non ha impedito — scriveva "II Mattino" di Napoli — che Dipignano assistesse a un pio, innumerevole, mesto pellegrinaggio di gente lacrimante, accorsa a venerare la salma dell'uomo illustre, da ogni parte della provincia».
E mentre da Napoli Giustlno Fortunato scriveva al sen. Antonio Cefaly queste parole: «Che tristezza caro Antonio! Ed ho pianto, al ricordo del povero nostro Mele!», Luigi Torrigiani in Senato esprimeva, in forma incisiva, leggendo quella lettera davvero toccante, il senso di una grande scomparsa. Così nel Senato del Regno tutti, si resero conto di come il Mele ancora interpretasse i bisogni dei Calabresi (l'ultimo suo pensiero fu per i poveri di Dipignano) .solo dal momento nel quale il suo scanno a Palazzo Madama rimase vuoto.
Franco Michele Greco
 

NOTE
1 La figura di Porco De' Zerbi è ben delineata in R, liberti, Attualità di Rocco de' Zerbi. Pellegrini Editore, Cosenza. 1973. Il saggio di Liberti, inoltre, ci consente di ricostruire il periodo napoletano del giovane Mele.
2 "La Lotta", Cosenza. 19 maggio 1904 (Consiglio Provinciale in Sessione straordinaria)
3 Atti del consiglio Provinciale della Calabria Citeriore porranno 1901. Per un maggior approfondimento degli avvenimenti. vedi E. stancati. Cosenza e la sua provincia dall'Unita al fascismo>. Pellegrini Editore, Cosenza. 1988.
4 Nella tornata parlamentare del 25 giugno 1908. nell'aula di Palazzo Madama, il senatore Colombo riferiva sulla nomina del neosenatore Mele, che fu eletto Presidente del Consiglio Provinciale di Cosenza quattordici volte, e cioè dai 18995 al 1907. [Atti Parlamentari. Sonalo del Regno, Legislatura XXII - I* Sessione 1904-1908 - Discussioni. Tornata del 25 giugno 1908). Francesco Mele fece il suo ingresso ufficiale nell'aula di Palazzo Madama il 26 giugno e prestò giuramento.
A pochissimi senatori spettò il privilegio di essere eletti in base all'ari.. 16 dello Statuto albertino, articolo che prevedeva la nomina dei presidenti dei consigli provinciali dopo tre elezioni alla Presidenza. Ci si può documentare sulla vita parlamentare del Regno in M. Mancini- U Galeotti,  Norme ed usi del Parlamento italiano. Roma. Tipografia della Camera dei deputaci. 1887).
5 «n Giornale di Calabria». Cosenza. giugno 1908.
6 «Cronaca di Calabria", Cosenza. 27 no­vembre 1928.
7 G. fortunato. Cartf.qgu) 1865-1911. a cura di Emilio Gentile. Editori Laterza. 1978.
G. fortunato. Carteggio 1912-1922. Editori Laterza. 1979.
8 Questa lettera che può considerarsi, «l'addio al Senato» di Francesco Mele. fu pubblicata sul numero 270 della «Tribuna» di Roma. giovedì 11 dicembre 1919. Per l'importante giornale della capitale questa lettera del Mele fu considerata «un toccante documento di serenità di spirito, di stoica rassegnazione e di nobiltà d'animo».
9 Dal testamento olografo del 22 aprile 1919 (Dipignano. Archivio domestico del magistrato F. Mele).