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Nel Ridotto del Rendano di Cosenza è stato ricordato Mimmo Garofalo Senatore della Repubblica e sindaco di Dipignano, a dieci anni dalla prematura morte. Qui di seguito alcuni articoli di persone che con lui collaborarono e che con lui condivisero la sua vita di politico e di sindacalista.

Gli articoli sono:

In ricordo di Mimmo Garofalo di Emilio Viafora
Un dirigente che amava i giovani di Vera lamonica
Un vero riformista di Sandro Taverniti
Ricordare Mimmo Garofalo di Vittorio Todaro
 

 

In ricordo di Mimmo Garofalo     di Emilio Viafora

Sono Passati dieci anni dalla scomparsa di Mimmo Garolalo. ma  la sua assenza, il vuoto,il dolore che ha lasciato in ognuno di quelli che con lui hanno condiviso un bellissimo percorso di vita e di militanza politica e sindacale sono intatti, immutati. Senza nessuna retorica, al contrario,  per me il valore di questa assenza è ogni giorno più  pesante se penso alla crisi delle classi dirigenti calabresi  e all'impoverimento dei gruppi dirigenti della sinistra politica e sociale della nostra Regione. Senza retorica perché chi ha conosciuto Mimmo sa che la sua è stala una straordinaria figura di dirigente politico e sindacale. Persona non incline a fare valere gli aspetti soggettivi

del suo lavoro. Mimmo ha sempre sollecitato una elaborazione o una ricerca collettiva, in ciò anticipando, in tante occasioni, quell'elemento di laicità nell'agire politico in una fase in cui le appartenenze ideologiche erano solide e tante volte condizionavano la stessa autonomia della Cgil dai Partiti della sinistra. Mimmo è stato un eccezionale protagonista della costruzione in Calabria di un moderno meridionalismo capace di guardare agli elementi di modernità che pure tra mille contraddizioni fanno  capolino nella nostra regione. La sua direzione della Cgil è stata sempre attenta alla moderna questione urbana e ad una politica industriale capace di rompere la spirale della dipendenza assistita che segnava l'economia regionale e che caratterizzava anche una certa pratica rivendicativa del sindacato confederale calabrese. Perciò, ha sempre mantenuto  vivo e stimolato il rapporto tra la Cgil , gli intellettuali,. il mondo dell'università favorendo una forte capacità di autonomia politica e programmatica del sindacato.Con questa stessa ispirazione ha ha favorito una forte immissione di giovani  nel sindacato. Molti degli  stessi attuali dirigenti della Cgil sono entrati nel sindacato su spinta e sollecitazione di Mimmo. Parlo di Mimmo come dirigente sindacale perché anche la sua direzione politica,  nel Pci prima e nel Pds poi, e il suo impegno come Senatore della repubblica sono stati profondamente segnati dalla sua appartenenza alla Cgil anche se il suo impegno politico era iniziato nella Fgci e nel Partito comunista.
Mimmo è stato costruttore di un pensiero riformista dentro la sinistra politica calabrese. Un riformismo caratterizzato da un saldo e coerente ancoraggio aibisogni dei soggetti sociali più deboli e non incline a una visione solo politicista dell'impegno politico ed istituzionale. Perciò, il suo rapporto con il Pci non è stato semplice, ma caratterizzalo da una critica all'incapacità tante volte manifestata da quel Partito di valorizzare e guardare all'autonomia dei soggetti sociali della rappresentanza come un elemento di forza e di crescita della società.
Non e un caso che proprio dopo la svolta della Bolognina ( di cui si può dire anticipatore nel senso di avere colto prima di molti altri la necessità di andare oltre la tradizione comunista) il Partilo ha cominciato ad avere piena consapevolezza del valore delle proposte politiche che Mimmo ha saputo fare vivere nella sua operosa militanza politica e sindacale,Penso non sia un caso che proprio nell'ultimo congressodi DS a Cosenza si sia deciso di chiedere al gruppo del Senato una pubblicazione del lavoro prodotto da Mimmo nel suo impegno parlamentare. Io ho letto in questa proposta il riconoscimento non formale ma politico del pensiero riformista di Mimmo proprio in una stagione come quella attuale in cui i DS calabresi cercano di definire in modo più puntuale la loro scelta riformista. Vorrei dire che il riformismo di Mimmo è stato sempre fortemente ancorato alla migliore tradizione socialdemocratica europea, al modello sociale europeo che la socialdemocrazia è riuscita a costruire.Questa sottolineatura è essenziale per capire l'ispirazione riformatrice del pensiero di Mimmo che non ha mai subito il fascino delle terze vie, ma ha sempre avuto fermo che dentro quella tradizione era possibile produrre una innovazione capace di saldare lo sviluppo e la crescita economica, prodotte dal post-fordismo e dai processi di globalizzazione accelerati dopo la caduta del Muro di Berlino, ad un moderno Stato Sociale in grado di assicurare quella coesione sociale e solidarietà senza le quali si affermano nuove esclusioni, nuove povertà, una regressione civile e democratica della società.
Per Mimmo, perciò, la politica ha avuto sempre un forte ancoraggio sociale ed etico. Questo è il patrimonio più vivo che ha lasciato in molti di noi che con lui hanno condiviso tante battaglie politiche. Un patrimonio a cui molti di noi ancora attingono nella consapevolezza che l'impegno politico e sindacale devono poggiare sulla consapevolezza che nelle piccole e grandi cose che facciamo tutti i giorni non dobbiamo mai smarrire la bussola dei bisogni, delle aspettative, delle speranze delle persone che rappresentiamo e che danno senso al nostro agire. Mi piace ricordare, in chiusura, la natura mite di Mimmo, la sua sensibilità ai problemi dei compagni che hanno lavorato con lui. la sua capacità di ascolto delle ragioni degli altri, il suo assumersi responsabilità, la pacatezza dei suoi ragionamenti, la serenità con cui affrontava le questioni.

Un dirigente che amava i giovani  di Vera Lamonica

E' ancora difficile, per me. parlare di Mimmo Garofalo con il distacco che e necessario a chi vuole analizzarne criticamente il pensiero e l'esperienza di grande dirigente sindacale  quale egli fu. Ritornano infatti, insieme ad un immutato e profondo affetto, emozioni e memorie mai cancellate:quelle di una lunga pratica di consuetudine quotidiana, di discussioni accese.di letture condivise, vissute da me, giovane e unica donna in un mondo di maschi, non tutto disponibile e accogliente come invece egli fu, come uno straordinario periodo che segnerà sempre il mio modo di intendere la militanza, la politica, la pratica sindacale. Ma non è un dato solo autobiografico.Mimmo amava stare con i più giovani, chiamava freschezza l'ingenuità, e nella Cgil di allora di giovani ne portò tanti, gli diede una sorta di identità collettiva, ne stimolò la crescita e l'impegno, li fece misurare con esperienze di direzione importanti, segnando così con nettezza il profilo futuro dell'organizzazione. Senza omologazioni, senza necessità di schieramenti interni precostituiti o di obbligate fedeltà, solo con l'obbligo, il diritto-dovere di onestà intellettuale, di non improvvisazione, di verifica alla prova dei fatti delle proprie convinzioni. Ritengo questo aspetto dello stile di direziono di Mimmo Garofalo centrale per attualizzarne la lezione alla luce dei problemi dell'oggi: non temeva il dissenso, non esorcizzava la diversità, perché era figura autorevole che dirigeva e non dominava l'organizzazione, perché esercitava egemonia ed era capace di cogliere tutte le sfaccettature delle varie culture interne per portare il dibattito a sintesi più alte e complesse. Qui forse si coglie un punto su cui la Calabria sindacale deve interrogarsi; è infatti curioso che, nel mentre cresce la complessità fuori di noi e si velocizzano sempre più gli accadimenti politici. economici e sociali sui quali è necessario un pensiero forte ed attrezzato, le organizzazioni tendono invece non solo a discutere di meno, ma mostrano una incredibile tendenza alla semplificazione eccessiva. Cresce la figura del "capo" a discapito della dimensione collettiva e soprattutto si avverte una tendenza all'omologazione che impoverisce tutti, e che trasforma il dissenso, quando c'è, in mugugno rancoroso o in battaglia distruttiva. Come altri, io ho
avuto il privilegio di conoscere un altro modo di dirigere e di quello conservo il culto per l'unità vera dell'organizzazione. da costruirsi sempre con impegno e con fatica e con la convinzione che la democrazia interna non limita ma accresce la forza di un gruppo dirigente. Certo quelli di Mimmo erano gli anni delle componenti. Dentro la Cgil le anime maggiori, i socialisti e i comunisti, condividevano la direzione dell'organizzazione in un quadro di regole rigide e predeterminate che a noi più giovani stavano molto strette. Erano tortissimi i sentimenti di appartenenza e la disciplina di componente a volte ora inesorabile. C'era in molti di noi, meno avvezzi alle mediazioni, la tendenza a vedere il male sempre nell'altro e anche qui Mimmo è stato portatore di un'alta lezione politica e sindacale che era il frutto dello sue convinzioni politiche più profonde e dei suo attaccamento all'unità politica della Cgil Mimmo vide sempre che non tutto del pensiero e della tradizione socialista, sopratutto di quella storicamente presente nella Cgil era distante dalle istanze del movimento operaio e che anzi molto di quel pensiero era il terreno su cui era possibile ricomporre un'idea di sinistra italiana, capace di proporsi come nucleo di un governo futuro del Paese. Perciò i suoi rapporti con i compagni socialisti furono sempre improntati a grande rispetto, e la Calabria fu una delle regioni in cui l'unità della Cgil tenne anche in momenti di drammatica tensione e spaccatura nazionale.Questo non fu un dato irrilevante soprattutto se lo si rapporta all'allora  Pci. al dibattito che c'era tra i suoi dirigenti e soprattutto al profilo del partito calabrese, incline spesso al massimalismo verbale quanto poi disponibile ad esperienze amministrative e politiche non sempre nette nei contenuti e chiare nelle alleanze. Mimmo impedì che la componente comunista della Cgil venisse risucchiata in quella prassi. Pretese e dimostrò rigore, serietà, corrispondenza certa tra il dire e il lare. Si collocò in un'area interna del Pci minoritaria in Calabria e lo fece non per definire uno schieramento interno, ma per segnare una differenza di metodo e di proposta che gli veniva da una lettura della politica calabrese per tanti versi di straordinaria attualità: una politica che non teneva, e non tiene. sempre nella giusta considerazione il rapporto con l'etica, troppo spesso incline al compromesso deteriore ed agli accordi non fondali sulla chiarezza programmatica. ma sulla gestione del potere.
A questa analisi non diede risposte semplificatorie, non condusse facili campagne di stampa, bensì collocò se stesso e la Cgil sul terreno del rigore programmatico e della chiarezza degli obiettivi. Non fu un "moderato" di sinistra, fu radicale nei suoi convincimenti e nelle sue prese di posizione.fu forse colui che più ha lavorato per dare a questa regione una sinistra moderna, avanzala. aperta al nuovo dei tempi ma profondamente radicala nella tradizione del movimento bracciantile e nel pensiero meridionalista dei comunisti italiani. Ma nel pieno di questo suo peso politico, e delle battaglie che condusse nel suo partito. Mimmo seppe non mantenere, ma accrescere il bene più prezioso della Cgil: la sua autonomia. Non permise intrusioni, ne ruoli del Partito che avrebbero potuto minarla. Non espose mai l'organizzazione a pronunciamenti che non fossero nel merito delle questioni sindacali o comunque legati ai tomi del lavoro e della condizione sociale delle persone che rappresentiamo.
Questa è del resto la sua lezione più profonda: la grande adesione alla condizione di vita concreta dei lavoratori, la necessità di mantenere sempre in piedi un movimento unitario in grado di conseguire nuove conquiste, l'attenzione quotidiana non solo ai grandi temi, ma al risultato sul terreno salariale e del rapporto di lavoro.
Mimmo non era un contrattualista per formazione ed interessi, ma nessuno più di lui ha rappresentato in Calabria la tensione verso un sindacato capace di rappresentare tutte le sfaccettature della condizione di lavoro, opera ancora largamente incompiuta e sempre più difficile nel nuovo quadro di precarietà dilagante, di lavoro nero. di insicurezza o assenza di diritti che caratterizza la Calabria di oggi.
Ricordo sempre con emozione le grandi battaglie contro il caporalato ed il sottosalario in agricoltura, le braccianti delle aziende capitalistiche e degli uliveti con la testa china e la schiena curva che seppero trasformarsi in un movimento formidabile che diede soprattutto dignità a quelle donne e forza al sindacato calabrese. Allora sperimentammo accordi che fecero molto discutere: aumenti salariali parziali al di sotto delle previsioni contrattuali nazionali, una sorta di sperimentazione di quelli che successivamente sarebbero stati i contratti di riallineamento. Servirono a dare fiducia nelle lotte, a mantenere lo agibilità sindacali nelle aziende e formarono una leva di sindacalisti, in una regione dove la contrattazione è sempre stata asfittica per il particolare carattere della struttura produttiva. Mimmo credeva nella necessità di lare accordi, pensava che il sindacato non può fare solo lotte dimostrative e pretendeva elle
ci fossero sempre piattaforme concrete alla base delle iniziative.
Pensava anche che la Cgil dovesse estendere sempre di più la sua capacità di rappresentanza a categorie e ambiti sociali più larghi delle zone interne di insediamento tradizionale. Allora eravamo molto deboli nei settori pubblici e nelle città non riuscivamo a garantire neanche la tutela tradizionale.
Mimmo fu il primo a comprendere il ruolo strategico dei centri urbani nella crescita economica e civile della regione e incoraggiò tanti di noi, oltre alle Camere del Lavoro. a misurarsi con i problemi di quella che allora chiamavamo qualità della vita. a produrre idee e confronti nel territorio, ma anche una base teorica entro cui collocare l'esigenza organizzativa di accrescere la rappresentanza nelle scuole, negli uffici pubblici, negli ospedali, nelle banche, ovunque fosse presente lavoro non organizzato.
E tentammo anche di organizzare i disoccupati. non solo quelli tradizionali del lavoro stagionale e dell'edilizia, ma i giovani e le ragazze, diplomati e scolarizzati ai quali era
tuttavia molto difficile, come del resto oggi,offrire prospettive credibili di impiego e obiettivi concretamente perseguibili.
Mimmo non sempre condivideva gli esiti delle numerose aggregazioni di giovani che realizzammo, le cooperative, le lotte per sbocchi esclusivamente pubblici, le varie forme di politiche attive che si inventarono, ma accolse e promosse l'esigenza di dare rappresentanza ai giovani e cittadinanza nella Cgil ai senza lavoro. Alcuni di quei giovani sono diventati dirigenti dell'organizzazione.
Mimmo fu persona autentica, non ipocrita, straordinariamente equilibrata nella direzione politica come nelle relazioni umane,incline all'essere e non all'apparire, salda nelle sue convinzioni e con una grande capacità di ascolto.
La sua memoria è viva nella Cgil e il suo pensiero attuale, ma la cosa più straordinaria è
che. in giro per la regione, sono tanti i lavoratori che lo ricordano, che raccontano aneddoti, storie di vertenze e di lotte in cui è centrale la sua presenza. Per questo Mimmo non appartiene solo alla sua provincia, ma a tutta la Calabria ed alla storia del movimento sindacale di questa regione.


Un vero riformista
di Sandro Taverniti

Non è facile riconiare Mimmo Garofalo senza essere travolti dal dispiacere per la sua scomparsa e dalla voglia di dirne tutto il bene possibile.
Mimmo era serio ed equilibrato, mite e paziente nei ragionamenti quanto fermo nei proponimenti.
Attento sostenitore della autonomia della Cgil e dirìgente riconosciuto de! Poi, anche dopo forti polemiche e in tempi nei quali nel partito calabrese non mancavano tentativi di " dare la linea " alle organizzazioni di massa, anche con atteggiamenti e toni da "caporali di giornata ". Per una lunga fase Garofalo raccolse il meglio dei compagni della Cgil calabrese, li difese dalle critiche ottuse ed interessate. costruì assieme a loro un gruppo dirigente che seppe discutere e scegliere,superando primitivismi e resistendo alle sirene dei più disparati nuovismi e costruendo dopo le epopee dei contomila posti di lavoro degli anni settanta , la prima vera piattaforma sindacale credibile della nostra regione.
Il valore di Mimmo Garofano, che ho avuto il privilegio di apprezzare in un lungo periodo di lavoro in comune, rifulge ulteriormente se lo si paragona al travaglio lacerante sopraggiunta quand'egli lasciò la Cgil. Nessuno fu in grado di tenere la strada maestra che egli aveva tracciato: ingenuità e personalismi, confrapposizioni territoriali con la rottura del patto storico tra Reggio Calabria e Cosenza, le tristi vicende del partito che aveva in Politano un campione davvero significativo, determinarono l'arrivo di Bonzi. Su quest'ultimo mi astengo da qualsiasi osservazione perché penso di non avere ancora smaltito un risentimento che non sta a me giudicare quanto giusto.
Carotalo fu poi senatore e sindaco e caso forse unico non sparò sul suo vecchio quartier generale. non intervenne mai a dire " ai tempi miei", non dettò lezioni, non diede consigli. Di quest'ultimi certamente c'era bisogno, ma questo non getta nessuna ombra sul suo stile, la sua figura di dirigente, il suo sostanziale rispetto per noi lutti.
Quando si candidò lo fece da dirigente del partito, non ebbe bisogno di convulse sgomitate, mantenne le critiche che riteneva giuste e necessario, non esasperò strumentalmente i toni. ne aggiunse mai acredine alle sue osservazioni. E soprattutto non diede ad intendere che egli avrebbe apportato cambiamenti epocali, rivoluzioni copernicane, repulisti apocalittici. Non si candidò contro il partito ma più ragionevolmente con partito.
Mimmo Carotalo era un vero riformista. un gradualista con una ispirata visione delle cose, senza enfasi e senza sciatterie. Un riformista, ritengo, onesto, capace di dialogare a sinistra anche nelle complicate e difficili galassie del mancinismo e del craxsismo, con dignità e autonomia. Valga per tutti il forte contributo e il ruolo che svolse nelle vicende di quegli anni in materia di forestazione, quando gli addetti avevano superato le 32.000 unità e tanti dirigenti della sinistra sparavano giudizi di fuoco contro gli sprechi nei settore e l'assistenzialismo, mentre di soppiatto contrattavano le mance clientelari di qualche assunzione nominativa o qualche pacchetto di giornate. Mimmo era un uomo che omovo la compagnia. il gioco delle carte, il riposo lontano dalla confusione. Un anno se ne venne  a Pazzano con la famiglia: le lunghe passeggiate mattutine a Ferdinandea finivano puntualmente a soppressate e vino.
Una volta prima dell'inizio di una riunione con il partito che si preannunciava assai tesa, mi passò un foglietto con su scritto: "Vedi se riesci a moderare i termini delle tue critiche! "
Non ricordo se sono stato capace di seguire il consiglio ma apprezzai sempre lo spirito di quell'invito. la sua voglia di proteggere con la mia modesta persona un pezzo di progetto della sua Cgil

Ricordare Mimmo Carofalo
di Vittorio Todaro

Ricordare Mimmo Garofalo per me significa ripercorrere una lunga fase della mia vita come dirigente della CGIL Calabria, e mi coinvolge emotivamente, suscitando sentimenti contrastanti: positivi e piacevoli per l'aspetto dei rapporti personali con Mimmo, più complessi e ricognitivi per i percorsi politici, soprattutto per quanto mi riguarda direttamente.
Dichiaro subito che non conoscevo a fondo Mimmo: ignoro la sua vita privata e molte cose della sua vita pubblica. Noi ci siamo trovati, ad un certo punto del nostro percorso culturale e politico, a lavorare gomito a gomito,con responsabilità alte e, per una fase, a guidare insieme la Cgil Calabrese.
Le nostre esperienze precedenti erano molto diverse: io provenivo da una esperienza aclista ed ero iscritto al Psi. su posizioni lombardiane ed alternativiste; Mimmo proveniva da un duro scontro politico all'interno del Pci cosentino dal quale uscì su posizioni miglioriste( ovvero riformiste), scelta che consolidò attraverso l'esperienza sindacale, che fu da subito ( con inizio alla Camera del Lavoro di Crotone), intensa, impegnativa, forse dura.Come dicevo, tentare un profilo completo della figura di Mimmo Carotalo non mi compete. sarebbe presuntuoso. Voglio, però, sottolineare alcuni aspetti del suo modo di fare politica e del suo modo di essere. Sempre serio, appassionato nel confronto, diretto ed aperto.con un linguaggio asciutto e supportato da elementi di analisi: non rinunciava mai ad esprimere il suo pensiero, salvo poi a sostenere con determinazione le sceltecollettive.
Il lavoro gomito a gomito cominciò nell'80, quando fu eletto segretario generale della CGIL Alfonso Torsello, Garofalo segretario aggiunto ed io entrai in segreteria regionale, assumendo insieme a lui la responsabilità di gestire i problemi organizzativi e i sempre complessi problemi di equilibri interni. Mi sembrò evidente da subito che Mimmo aveva un suo percorso, un progetto politico.Tornando dal congresso di Reggio Calabria, mi disse:"Vittorio, Torsello e l'ultimo segretario socialista, non metterti grilli per la testa". La cosa mi fece ridere e mi dissi disponibile ad eleggere, da subito, il successore di Torsello.
Il momento più difficile che siamo stati chiamati a gestire insieme, e da posizioni contrapposte, è stato lo scontro sull'abolizione del punto unico di scala mobile, nell'83-84.Un sisma che attraversava tutto il sindacato, ma che in particolare divideva la Cgil. Lo scontro politico, del tutto antistorico, tra Craxi, presidente del consiglio, e Berlinguer, segretario del PCI, si spostava sul terreno sindacale e poi referendario. Il problema era rilevante e ci lacerava profondamente. La componente socialista aveva le convulsioni; Torsello, segretario generale, appariva sempre più teso e preoccupato; Zavettieri, che era uscito dalla CCIL. partecipava alla grande manifestazione comunista di Roma contro il governo Craxi.
In quella occasione le consultazioni con Mimmo furono frequenti: l'unità della CGIL era un bene troppo importante ed il momento era rischioso e difficile. Infatti poi il percorso di ricomposizione dell'unità politica fu lungo e solo l'uscita di Lama, con la scelta di un successore di più basso profilo come Antonio Pizzinato (un contrattualista come allora si diceva) consenti un rimescolamento delle carte. Ma l'unità piena la si ritrovò solo successivamente con la segreteria di Bruno Trentin.
In quella fase Mimmo era leader indiscusso della componente comunista e gestì la questione con grande equilibrio. Credo che proprio allora sia cresciuta la nostra stima reciproca:l'intesa nel preservare il bene dell'unità che fa grande la CGIL è stato un momento di crescita della consapevolezza del ruolo di dirigenti.
Un'altra fase importante che ci ha visti direttamente e personalmente coinvolti, anche sul piano emotivo, è stata quella apertasi per la successione a Torsello nella carica di segretario generale. Mimmo era ormai il candidato naturale a questa responsabilità e di ciò c'era consapevolezza nell'organizzazione. L'indicazione di un socialista e del mio nome da parte della segreteria nazionale creava in me disagio personale e in Mimmo grande delusione. Si aprì uno scontro politico che non arrivò mai. però, negli organismi di direziono. Anche in questa occasione noi non cessammo di consultarci, di dialogare e trovammo un'intesa:"chiunque sarà segretario, la decisione sarà accettala: dopo, massimo di lealtà".
Quel momento segnò la mia vita. come è naturale che sia stato. ma si accompagno ad un disagio personale che mi portò a chiedermi, per lungo tempo se fosse stato opportuno accettare e se ci fosse stato lo spazio per non accettare. Mimmo, anche allora, si rivelò un grande dirigente. La mia elezione aprì una fase di fibrillazione interna, con momenti anche alti di tensione e con ricadute non sempre facili da gestire. Comunque i primi due anni della mia segreteria poterono contare sulla lealtà di Mimmo Garofalo e sulla tenuta della componente comunista.
Nelle lunga fase di lavoro comune, tutti i vari momenti sottolineano le qualità di dirigente sindacale vero di Mimmo, uomo colto,aperto, di acuta intelligenza politica. Ci si è chiesto se fu più sindacalista o uomo politico,se il suo guardare alla politica condizionasse il suo ruolo nel sindacato. Sono piccole ed insignificanti questioni. Si entra sempre nel sindacato per motivazioni politiche e passione sociale. La mia motivazione nello scegliere la Cgil (avevo riferimenti nella Cisl come Camiti e Gabaglio) fu che, attraverso di essa, passava l'unità sindacale e, attraverso l'unità sindacale, poteva passare l'alternativa di sinistra nel nostro Paese.
Certo, se Mimmo non fosse andato via, la Cgil avrebbe avuto meno problemi ed una guida sicura per lungo tempo. Ma la scelta di passare all'impegno politico si rivelò felice, non solo per il successo personale, ma anche per l'apporto culturale, il taglio riformista che egli portava nel confronto politico.
Lo ricordo anche con piacere ed affetto negli incontri romani, quando lui era senatore ed io ancora segretario della Cgil calabrese. Mi colpiva il suo impegno nel lavoro parlamentare, in un parlamento in cui molti nostri conterranei facevano le comparse.
Mimmo Garofalo aveva la sensibilità giusta ed un livello culturale lo rendeva aperto, disponibile a scelte nuove o difficili come quella riformista. La sua passione politica era passione civile e ciò lo rendeva intellettualmente onesto Leale. Per me amico.