L'avvento degli Ordini mendicanti

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                   La dominazione spagnola nel Regno di Napoli, iniziata agli albori del Cinquecento (1503) e protrattasi per oltre due secoli (1707), segnò una pagina tra le più tormentate dell’intera storia meridionale. Mentre nel resto d’Italia si andavano consolidando un nuovo umanesimo e una diffusa rinascenza, con esiti balsamici sullo spirito degli uomini e sul genio delle arti, nelle province del Regno imperversavano i cosiddetti Viceré, invisi protagonisti di una stagione amministrativa lunga e a dire poco disastrosa.
La politica dissennata della dinastia ispanica, favorevole alle categorie sociali più agiate e penalizzante per le plebi rurali, accentuò la prostrazione morale e la crisi economica, sociale e religiosa che già sotto i governi angioino e aragonese aveva attanagliato il Mezzogiorno. L’amaro lamento con cui Gabriele Barrio si espresse nel De planctu Calabriae, nel 1571, costituisce il manifesto di quel periodo e dei decenni successivi, quando la regione appariva «desolata e squallida, segnata dalla rapacità dei feudatari e dal malgoverno»[1]; una regione – per dirla con Gustavo Valente – diventata «periferia lontana dell’impero madrileno»[2].
A Laurignano e nell'intera bagliva tessanese l’asservimento dei ceti meno abbienti all’esosità del fisco regio, la persecuzione religiosa e la schiacciante supremazia della nobiltà cittadina – spietata nella tutela e nell'accrescimento dei propri interessi – apparivano i segni più concreti della decadenza. La vita di tutti i giorni fluiva mestamente, senza slanci e con poche prospettive. In seno al casale insicurezza e fame, ignoranza e soprusi regnavano sovrani, e scandivano la vicenda esistenziale dei tanti poveri cristi che vivacchiavano nelle campagne.
Questo periodo segnò la ripresa della Santa Inquisizione e la penetrazione nelle nostre contrade degli Ordini mendicanti, Minori Conventuali in particolare, i quali, grazie alla riforma intrapresa e attuata con successo dal P. Filippo Gesualdi da Castrovillari e attraverso un'azione pastorale assai efficace, nel torno di tempo compreso tra il 1517 e il 1652 raggiunsero il loro apogeo[3].
In questo scenario a tinte fosche va inquadrato l'insediamento nel territorio di Laurignano dei frati Francescani, i quali, sul volgere del XVI secolo, vi fondarono due monasteri extra moenia. Animati da pie intenzioni, scopo precipuo della loro missione era l’assistenza da offrire a poveri e bisognosi, ridestare la pietà nelle masse con una condotta di vita esemplare e attraverso gli exempla, ristorare come fresca rugiada le anime timorate che vivevano nel contado, predicare la parola di Dio. La Chiesa del tempo, accanto all’opera repressiva, si adoperò entro i confini del mondo cristiano per ritemprarsi moralmente attraverso un rinnovato fervore spirituale e un’intensa attività mirata all’educazione, alla carità, alle missioni, alla diffusione del messaggio evangelico.
La conferma della venuta dei fratres eredi di Francesco d'Assisi a Laurignano ci è data da alcuni documenti notarili di straordinaria valenza storica. Il 16 aprile 1591, presso il notaio Maugeri, previa concessione della licentia da parte del Provinciale dell'Ordine dei Minori Conventuali della Calabria, frate Del Ciro, le autorità dell'epoca e i Conventuali di Castrovillari siglarono un accordo per l’insediamento di questo Ordine nel territorio di Laurignano e per fondare un monasterium nella località denominata la Stozza. Alla stipula del contratto risultano presenti Paolo De Florio, primo eletto, Domenico De Ruggero, sindaco, Paolo De Florio e Prospero De Moio, eletti, Mercurio De Ruggero, mastrogiurato della baiulationis Tessani e altri cittadini di Laurignano. Tra questi Pietro Paolo De Petrozza, Francesco, Goffredo e Nicola De Ruggero, Teodoro Gallo, il magister Iacino De Orlando, Giovanni De Petrozza, Ercolino Bruno ed un «numero copioso» di altri rappresentanti del casale. Frate Francesco Croppella da Castrovillari, monaco dell'Ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco d'Assisi, figura come rappresentante della controparte ricevente[4]. Nell’atto, inoltre, è riportato che il sindaco, gli eletti e il mastrogiurato, «per lo credo de Idio et della gloriosa Vergine Marie Matre de Idio et per lo amore che han portato et portano a detta Santa relegione et essendo santa opera benignamente et gratiosamente in detto casale [Laurignano] fundano uno monasterio di detto Ordine et percio assignano et donano a detta relegione et per essa a detto frate Francisco [Croppella] presente la ecclesie de Santa Marie de la Serra de mecto augusto posta in lo territorio di detto casale loco ditto la Stocta in confine la possessione del mag.co Domenico De Florio via publica et altri fini»[5].
I Francescani castrovillaresi ottennero dalle autorità locali benefici come la riscossione di gabelle e altri censi, e vennero accolti dai Laurignanesi con molta benevolenza. I frati, dal canto loro, celebravano «misse et altri divini uffici ad honor di Idio» e, attraverso l'adozione di «vulgari sermoni» comprensibili a tutti, soprattutto nelle campagne, insegnavano alla gente nuove pratiche religiose. Con loro si diffuse la parola intesa come sermone, arringa, discorso militante[6] .
Nel secondo documento, rogato nel 1592 dal notaio De Luca di Cosenza, è riportato che lo stesso frate Francesco, chiese ed ottenne dal nobile Francesco De Ruggero un terreno nel casale di Laurignano per fondarvi ed erigervi, con l'ausilio di Dio, un monasterium sotto il titolo di S. Maria della Sanità. Il De Ruggero, spinto da zelo e carità, concesse il terreno in una località detta S. Basilio[7], forse l'attuale località Turra 'e Santi, nella zona di Granci. I Conventuali vennero a Laurignano e chiesero la licenza di «pigliare casa» per prendersi cura degli infermi e per compiere «santa opera pia», secondo la rigida applicazione dei decreti tridentini inaugurata da Pio V e proseguita dai suoi successori.
Un terzo documento, rogato dal notaio Plantedi nel 1592, ci informa che il dominus laurignanese dell'epoca, il ricco possidente Goffredo De Ruggero, cedette al monastero di S. Maria della Sanità un casalino scoperto in Laurignano, nella località detta Casa sottana. Nel documento è riportato testualmente: «Giuffrida de Rugerio de Laurignano amore Dei donavit monastero S.ta Maria de la Sanità de Laurignano domus cum casaleno scopertum in Laurignano loco ditto Casa sottana iuxta domus Prudente de la Regina ortus Domenico De Florio» [8]. Nella zona di S. Maria Stozza e in località Turra 'e Santi, le vestigia di questi edifici di culto rappresentano una testimonianza tangibile del passaggio e della fervente attività pastorale dei Francescani sul suolo laurignanese. Sui muri perimetrali del monastero di Granci, ancora oggi, s'intravedono alcune effigi sacre sbiadite dal tempo. Secondo la tradizione orale queste effigi apparterrebbero a S. Antonio, il quale abbracciò l'ideale francescano animato da fervoroso e sincero slancio.
L'avarizia delle fonti a disposizione, purtroppo, non ci consente di scandagliare puntualmente i tratti peculiari dell'apostolato francescano nel nostro casale. Sappiamo per certo, tuttavia, che la loro predicazione scuoteva profondamente l’animo delle masse popolari, parlando della passione e del giudizio finale. Pietro De Leo ha scritto in proposito: «furono gli ordini mendicanti – Minori Osservanti e Domenicani – a rinverdire la speranza di una chiesa più consona agli ideali di Cristo e a promuovere istanze di riforma (...), soprattutto attraverso la predicazione e la confessione»[9].
Le campagne laurignanesi erano popolate da contadini illetterati che vivevano nella più completa ignoranza, una umanità dagli orizzonti mentali fragili, con l'indole semplice e sentitamente religiosa, distante dalla politica cittadina e da qualsivoglia anelito culturale o interesse economico. Il messaggio evangelico richiedeva pertanto un linguaggio facilmente comprensibile e scevro da astruserie teologali, denso comunque di contenuto dottrinale. Su questo terreno fertile i Francescani spargevano il seme dei loro sermoni. Il loro impegno religioso, basato sulla predicazione itinerante e sulla povertà, appariva ai fedeli come una splendida novità, capace di sopperire ad un clero secolare che aveva smarrito il rapporto con i parrocchiani a causa di una condotta di vita discutibile, all'ignoranza, al modo di comunicare complicato, infarcito talora di latinismi e di citazioni bibliche.
Se i Francescani si rivolgevano agli analfabeti, ai poveri e contadini dei centri rurali intorno a Cosenza, i Domenicani, i «frati predicatori», operavano soprattutto in città, indirizzando le loro prediche ad un pubblico più istruito. Tuttavia, non disdegnavano il possesso di proprietà e beni fondiari. Due documenti datati 1586[10] e 1612, ci danno notizia della presenza dei Domenicani del monastero di S. Domenico di Cosenza nel territorio di Laurignano. Detti frati risultano proprietari di un castagneto e di altre proprietà. Il documento del 1612 ci informa che «i reverendi patri del monasterio de Santo Dominico di Cosencta, il reverendo patre frate Honoratio di Rossano subpriore di detto monasterio di Santo Dominico, il patre maestro Vicenzo di Petrafita regente del monasterio, patre frate Marco de Altomonte sindico, patre frate Petro de Montilione, patre frate Francisco di Maguli bacilleri, patre frate Giovanni Battista de Santa Severina, patre frate Petro de Francavilla monaci de detto reverendo monasterio de Santo Dominico de Cosencta (…) asseriscino tenere e possidere giusto titulo et bona fide come veri patroni uno loro castagnito sito e posto nel territorio di Laurignano loco ditto Lacritani confine la possessione di detto Scipione [De Ruggero] lo quale castagnito asseriscino rendere annui ducati cinque a detto monasterio di Santo Dominico di detta città di Cosencta»[11]. Inizialmente i frati vivevano grazie alle elemosine dei fedeli; per questo si dissero frati mendicanti. Successivamente cadde la prescrizione della povertà, e pertanto furono autorizzati a possedere beni in comune, anche se rimanevano, singolarmente, poveri[12].
Gli Ordini mendicanti, come è noto, nacquero e si diffusero nel XIII secolo. La Chiesa se ne servì per contrastare l'azione corrosiva e dilagante delle eresie. La cultura monastica, infatti, legata ad una società prettamente rurale, «non era più in grado di rispondere alle esigenze dei cristiani, né ai grandi problemi della Chiesa, che erano l'incompiutezza della riforma gregoriana e la rapida diffusione delle eresie»[13]. Gli ordini principali furono appunto i Predicatori, ovvero i Domenicani, e i Minori, detti Francescani. Questi Ordini, dediti alla predicazione missionaria, vivevano in comunità, da regolari, in mezzo agli uomini. Contrariamente ai monaci non contemplavano il «disprezzo del mondo», né si abbandonavano alla solitudine collettiva del monastero a piangere i propri peccati. Abitavano insieme, in povertà, nel convento, da dove uscivano liberamente girovagando a elemosinare e a diffondere la parola di Dio[14]. Era, questa, una novità assoluta, che rispondeva a un'esigenza reale della comunità dei fedeli.
La predicazione, la pratica dell'umiltà e una vita povera e itinerante, elevate a scopo principale di un preciso impegno religioso, appariva agli occhi dei fedeli come una proposta completamente innovativa, quindi meritevole di essere accettata favorevolmente e con entusiasmo[15]. In particolare gli exempla costituivano uno strumento di comunicazione assai efficace, utili a diffondere tra la popolazione i criteri di discernimento tra il bene e il male, a individuare il peccato e indurre alla penitenza per incamminarsi sulla via della salvezza. Nel delineare rapidamente la caratteristica principale che accomunava i due ordini mendicanti e i monaci cistercensi, Kaspar Elm ha scritto che essa «si può descrivere in poche parole: la diretta osservanza del Vangelo ed il carattere personale dell’imitazione di Cristo, (…) sentiti come anticipazione di quella religiosità soggettiva e non prefissata dalle istituzioni che si è venuta sostituendo in misura crescente alla tradizionale devozione ecclesiastica»[16].
Nel periodo di transizione dal Medioevo all'Età Moderna lo spazio sociale e urbano di Laurignano si andò via via strutturando attorno alla presenza organizzata degli Ordini mendicanti e, probabilmente, come vedremo più avanti, delle Confraternite laicali. Con il declino dei grandi monasteri si affermò un modello umano contrassegnato dai valori di umiltà, povertà ed ascetismo professati appunto dagli Ordini mendicanti. Soprattutto in Calabria, dove la tradizione eremitica affondava nell'esperienza monastica bizantina, l'egemonia francescana consolidò non solo la prassi dell'eremitismo irregolare suburbano, ma contribuì anche ad affermare una sorta di misticismo anacoretico, la capacità di profezia che connotava la tradizione niliana, gioachimita e di Francesco di Paola, come requisiti essenziali di una vera «imitatio Crhisti».
L'intero contado laurignanese, tra la fine del Medioevo e gli albori dell'Età Moderna, era disseminato di luoghi di culto, romitori attigui a minuscole chiesette periferiche nelle cui celle dimoravano religiosi intenti a svolgere i divini uffici. Questi piccoli edifici erano appartati ma non tanto lontano da impedire alla comunità di osservare direttamente le virtù esemplari di questi santi uomini e di diffonderne l'esempio. Dalle carte e dai ruderi superstiti si evince che anche i monasteri fondati a Laurignano, sul finire del XVI secolo, sorgevano lungo la «viam publicam». La fuga dal mondo, ha scritto Bronislaw Geremek, «non significava in maniera univoca la fuga dalla società: essa era, innanzitutto, un rifiuto del modo di vivere che impediva la diffusione e la realizzazione degli ideali cristiani. Gli eremiti conducevano spesso una vita nomade, i loro romitori erano situati in luoghi ben visibili e visitabili, lungo le strade o agli incroci, come predicatori itineranti si fermavano laddove potevano insegnare il modello basato sui comandamenti evangelici»[17].
Il sito della Stozza si prestava ad accogliere una piccola comunità di religiosi: la presenza dell’acqua nei dintorni, la facilità nel reperire pietre e calce sul versante dello Jassa, e, soprattutto, la prossimità alla via Popilia dovettero risultare fattori decisivi che spinsero i frati Francescani ad erigervi il monasterium.
Se il santo della Porziuncola e il castigliano Domenico Guzmàn fondarono gli Ordini mendicanti più noti e diffusi – Francescani e Domenicani, precursori nel mondo cristiano di una nuova forma di monachesimo che incarnava un ideale ascetico di perfezione in povertà evangelica – il II Concilio di Lione, nel 1274, riconobbe anche gli eremiti di sant'Agostino e i Carmelitani[18]. Purtroppo, come notato in precedenza, le prime testimonianze credibili riguardo agli Ordini mendicanti nel territorio di Laurignano si riferiscono all'ultimo quarto del XVI secolo. Per i secoli precedenti, le fonti tacciono completamente.
In epoca moderna, a Laurignano, gli ordini mendicanti, oltre alla predicazione, amministravano spesso i sacramenti, in particolare la confessione. Svolgevano in pratica un compito fuori dalla portata del basso clero con cura d’anime, che richiedeva una particolare preparazione, rappresentando i due momenti chiave dell’istruzione religiosa dei fedeli. Il Liber emortualium ci informa che, l’anno 1747, Teresa Federico, prima di morire presso la sua abitazione di Granci, si confessò ad un frate Riformato. Nel 1776, Agostino Ritacca e Vito Leonardo Ciardullo, morti nella zona di Granci, ricevettero il «sacro viatico» da un certo frate Pietro Asta, «economus» dell’Ordine dei Riformati. Lo stesso anno, «frater Petrus Asta ordinis Reformatorum sancti Francisci», compare nel Liber baptizatorum in occasione del battesimo di una «puellam».
Nello stesso periodo, altri Ordini religiosi si conformarono alla fisionomia dei Francescani e dei Domenicani, pur non ottenendo il loro stesso prestigio. Nel contado laurignanese, oltre alle citate proprietà dei Domenicani, abbiamo testimonianza dell’assidua frequentazione di altre comunità di religiosi, le quali risultano intestatarie di proprietà terriere. I Registri della parrocchia di S. Oliverio, in particolare il Liber emortualium del '700, ci ragguagliano sulla presenza nella zona di Granci di alcune pertinenze dei Carmelitani, i quali si erano insediati a Vadue di Carolei, sulla sponda opposta del Busento, a partire dal 1530[19]. Nel 1726 è attestata la morte della ventenne Anna Mannarino «in domo et pago carmelitanorum ubi dicitur li Granci». L'anno successivo, in «pago carmelitanorum» mori il piccolo Tommaso Trombino[20].
Tra i mendicanti, l’Ordini che mostrò maggiore vitalità fu senz’altro quello dei Minori Francescani. Nella seconda metà del XIV secolo, per merito di Paoluccio da Foligno, si affermò la riforma francescana, detta Osservanza, che si estese in tutta Italia. Papa Leone X nel 1517 sancì la loro separazione dai Conventuali. «Sul tronco Osservante – scrive il Russo – s’innestò poi un altro movimento di Riforma, detto della più Stretta Osservanza o dei Riformati, che, iniziatosi verso la metà del sec. XVI, in breve si affermò splendidamente»[21].
Ai Conventuali Francescani della località Turra 'e Santi subentrarono appunto i Riformati, i quali, non potendo passare dall’Osservanza tra le fila dei Cappuccini, per il divieto della Santa Sede, formarono delle case di ritiro. Per quanto concerne la presenza di questi frati nel territorio di Laurignano le notizie sicure rimontano alla seconda metà metà del XVIII secolo. Il Liber emortualium ci dà notizia che l’anno 1747 Teresa Federico, prima di morire presso la sua abitazione di Granci, si confessò ad un frate Riformato. Nel 1776 Agostino Ritacca e Vito Leonardo Ciardullo, morti nella stessa zona, ricevettero il «sacro viatico» da un certo frate Pietro Asta, «economus» dell’Ordine dei Riformati[22]. Lo stesso anno, «frater Petrus Asta ordinis Reformatorum sancti Francisci», compare nel Liber baptizatorum in occasione del battesimo di una «puellam»[23].
La località denominata oggi Turra ‘e Santi, nella zona di Granci, ampiamente citata nelle pagine precedenti, dovette risultare più che idonea all’attuazione del loro ideale ascetico. Essi si proponevano la stretta osservanza della regola, in spirito di povertà e d’umiltà, «ritirandosi dai conventi cittadini per vivere nelle asprezze delle solitudini e degli eremi o dei conventini rurali»[24]. Questi frati conducevano un vita austera, attratti da un anelito profondo verso la penitenza e la santità. Si cibavano di pane, frutta, erbe. Si nutrivano di cibi cotti solo due volte la settimana. Dormivano sulla nuda terra o sul tavolato; di notte si alzavano per il coro e calzavano sandali o zoccoli; avversavano il lusso e la mondanità, le scienze profane e i grandi e fastosi monasteri della città[25].
Accanto ai Riformati, nel Settecento, a Laurignano, è attestata la presenza dei Padri Teresiani, i quali detenevano diverse pertinenze. Il Catasto Onciario di Tessano relativo al 1743 ci dà notizia di un certo Andrea Maurello, il quale possedeva «una possessione luogo li Chiatri giusta li beni di PP. Teresiani di Cosenza» con una rendita di dieci ducati e mezzo[26]. Anche Domenico Naccarato, di professione bracciale, abitava in una torre dei PP. Teresiani presso la località Jassa [27] . Tra i beni della chiesa parrocchiale di S. Oliverio, nella stessa fonte, risultano annotati un «orticello in luogo detto sotto la Chiesa alborato di celsi neri e poche fichi iuxta li beni de li PP. Teresiani», con una rendita di 39 carlini[28], e una «possessione in luogo detto il Vallone iuxta li beni de li PP. Teresiani e via publica alborata di fichi, querce e tre aratorie»[29].
Come si è visto, anche nei secoli dell’Evo Moderno il territorio di Laurignano, al pari di tante altre zone del circondario cosentino, è stato teatro dell’intenso attivismo spirituale di ecclesiastici appartenenti ai più disparati ordini. Attraverso un costante impegno essi hanno contribuito a plasmare il paesaggio agrario ma anche, soprattutto, ad imprimere nella coscienza dei Laurignanesi le stimmate di una religiosità travagliata e inquieta, esprimentesi ancora oggi nelle forme autenticamente genuine della devozione e del culto verso la Vergine della Catena e Sant'Oliverio, il venerato patrono.
Francescani e poi Riformati, Domenicani, Carmelitani e Teresiani, con ogni probabilità, rimasero a Laurignano o frequentarono assiduamente il territorio fino alla Rivoluzione Francese, la quale soppresse e disperse quasi tutte le comunità monastiche incontrate sulla propria strada, dilapidando anche un ingente patrimonio storico, artistico e spirituale.
Tra la fine del XV e i decenni centrali del XVI secolo, nella vicina Dipignano, furono invece Osservanti e i Cappuccini a catalizzare l’attenzione delle masse del circondario. Gli Osservanti fondarono un convento dedicato all’Annunziata, mentre i Cappuccini, nel 1538, vi eressero il primo convento della Provincia di Cosenza, intitolato a S. Maria degli Angeli[30]. Dipignano, inoltre, tra i vari personaggi di rilievo annoverati tra i Cappuccini, può vantare Francesco da Dipignano, che fu tra i primi 12 iniziatori della riforma, Agostino da Dipignano, morto nel 1572 e, soprattutto, Girolamo da Dipignano, che fondò la Provincia lucana e fu Provinciale di Calabria nel 1539; Francesco da Dipignano, Provinciale nel 1543, il quale fu anche uno dei fondatori della Provincia di Napoli[31].
A Laurignano, in quel periodo, come già osservato, le istanze di riforma prendevano sempre più corpo soprattutto per merito degli Ordini mendicanti, «sulla scia di tradizioni eremitiche mai sopite, di esperienze monastiche plurisecolari, di modelli ascetici assai vivi nella pietà popolare»[32]. Frate Giacomo da Laurignano fu probabilmente attratto da questo messaggio salvifico e da tali istanze, quando decise di indossare l’abito regolare dei Cappuccini. Il suo nome lo troviamo annotato in un elenco onomastico-toponomastico dei Cappuccini cosentini vissuti nel periodo antecedente lo smembramento dell’unica Provincia monastica, nel 1584[33].

[1] G. Barrio, De Antiquitate et situ Calabriae, Roma 1571, Libro I, pp. 66-70
[2] G. Valente, L'Età Moderna, in Cosenza. Storia Cultura Economia, Soveria Mannelli 1991, p. 75
[3] Cfr. F. Russo, I Francescani Minori Conventuali in Calabria (1217-1982), Catanzaro 1982, p. 99
[4] ASCS, notaio Maugeri, anno 1591, sch. 22
[5] Ibidem
[6] J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale...cit., p. 178
[7] ASCS, notaio De Luca, anno 1592, sch. 17
[8] ASCS, notaio Plantedi, anno 1592, sch. 107v
[9] P. De Leo, Mezzogiorno medioevale...cit., p. 192
[10] ASCS, notaio Plantedi, anno 1586, sch. 246v
[11] ASCS, notaio Maugeri, anno 1612, sch. 221v
[12] A. Barbero – C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci...cit., p. 265
[13] J. Le Goff, Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell'Europa, Bari 2004, p. 176
[14] A. Barbero – C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di immagini, Bologna 1999, p. 265
[15] Ibidem, p 265
[16] K. Elm, Questioni e risultati della recente ricerca sui cistercensi, in I Cistercensi nel Mezzogiorno medioevale, a cura di H. Houben e B. Vetere, Atti del convegno internazionale di studio in occasione del IX centenario della nascita di Bernardo di Clairvaux (Martano – Latiano – Lecce, 25-27 febbraio 1991), Galatina 1994, p. 7
[17] B. Geremek, La pietà e la forca. Storia della miseria e della carità in Europa, Bari 2003, p. 26
[18] J. Le Goff, Il cielo sceso in terra...cit., p. 176
[19] F. Russo, Storia dell'Arcidiocesi...cit., p. 159
[20] ASCS, Liber emortualium parochialem ecclesiam S.ti Oliverii Martyris (1715-1777). D'ora innanzi Liber emortualium
[21] F. Russo, Storia dell'Arcidiocesi...cit., p. 137
[22] Ibidem
[23] ASCS, Liber baptizatorum parochialem ecclesiam S.ti Oliverii Martyris. D'ora innanzi Liber baptizatorum
[24] F. Russo, I Francescani Minori...cit., p. 84
[25] F. Russo, Storia dell'Arcidiocesi...cit., p. 142
[26] ASCS, Catasto Onciario
[27] Ibidem
[28] Ibidem
[29] Ibidem
[30] F. Russo, Storia dell’Arcidiocesi…cit., pp. 139-144
[31] Ibidem, pp. 144-145
[32] P. De Leo, Mezzogiorno medioevale…cit., pp. 112-113
[33] P. G. Leone, I Cappuccini e i loro 37 Conventi in Provincia di Cosenza, parte 1ª, Vol. I, Cosenza 1986, p. 28