La dominazione spagnola
nel Regno di Napoli, iniziata agli albori del Cinquecento (1503) e
protrattasi per oltre due secoli (1707), segnò una pagina tra le più
tormentate dell’intera storia meridionale. Mentre nel resto d’Italia si
andavano consolidando un nuovo umanesimo e una diffusa rinascenza, con
esiti balsamici sullo spirito degli uomini e sul genio delle arti, nelle
province del Regno imperversavano i cosiddetti Viceré, invisi
protagonisti di una stagione amministrativa lunga e a dire poco
disastrosa.
La politica dissennata della dinastia ispanica, favorevole alle
categorie sociali più agiate e penalizzante per le plebi rurali,
accentuò la prostrazione morale e la crisi economica, sociale e
religiosa che già sotto i governi angioino e aragonese aveva
attanagliato il Mezzogiorno. L’amaro lamento con cui Gabriele Barrio si
espresse nel De planctu Calabriae, nel 1571, costituisce il manifesto di
quel periodo e dei decenni successivi, quando la regione appariva
«desolata e squallida, segnata dalla rapacità dei feudatari e dal
malgoverno»[1]; una regione – per dirla con Gustavo Valente – diventata
«periferia lontana dell’impero madrileno»[2].
A Laurignano e nell'intera bagliva tessanese l’asservimento dei ceti
meno abbienti all’esosità del fisco regio, la persecuzione religiosa e
la schiacciante supremazia della nobiltà cittadina – spietata nella
tutela e nell'accrescimento dei propri interessi – apparivano i segni
più concreti della decadenza. La vita di tutti i giorni fluiva
mestamente, senza slanci e con poche prospettive. In seno al casale
insicurezza e fame, ignoranza e soprusi regnavano sovrani, e scandivano
la vicenda esistenziale dei tanti poveri cristi che vivacchiavano nelle
campagne.
Questo periodo segnò la ripresa della Santa Inquisizione e la
penetrazione nelle nostre contrade degli Ordini mendicanti, Minori
Conventuali in particolare, i quali, grazie alla riforma intrapresa e
attuata con successo dal P. Filippo Gesualdi da Castrovillari e
attraverso un'azione pastorale assai efficace, nel torno di tempo
compreso tra il 1517 e il 1652 raggiunsero il loro apogeo[3].
In questo scenario a tinte fosche va inquadrato l'insediamento nel
territorio di Laurignano dei frati Francescani, i quali, sul volgere del
XVI secolo, vi fondarono due monasteri extra moenia. Animati da pie
intenzioni, scopo precipuo della loro missione era l’assistenza da
offrire a poveri e bisognosi, ridestare la pietà nelle masse con una
condotta di vita esemplare e attraverso gli exempla, ristorare come
fresca rugiada le anime timorate che vivevano nel contado, predicare la
parola di Dio. La Chiesa del tempo, accanto all’opera repressiva, si
adoperò entro i confini del mondo cristiano per ritemprarsi moralmente
attraverso un rinnovato fervore spirituale e un’intensa attività mirata
all’educazione, alla carità, alle missioni, alla diffusione del
messaggio evangelico.
La conferma della venuta dei fratres eredi di Francesco d'Assisi a
Laurignano ci è data da alcuni documenti notarili di straordinaria
valenza storica. Il 16 aprile 1591, presso il notaio Maugeri, previa
concessione della licentia da parte del Provinciale dell'Ordine dei
Minori Conventuali della Calabria, frate Del Ciro, le autorità
dell'epoca e i Conventuali di Castrovillari siglarono un accordo per
l’insediamento di questo Ordine nel territorio di Laurignano e per
fondare un monasterium nella località denominata la Stozza. Alla stipula
del contratto risultano presenti Paolo De Florio, primo eletto, Domenico
De Ruggero, sindaco, Paolo De Florio e Prospero De Moio, eletti,
Mercurio De Ruggero, mastrogiurato della baiulationis Tessani e altri
cittadini di Laurignano. Tra questi Pietro Paolo De Petrozza, Francesco,
Goffredo e Nicola De Ruggero, Teodoro Gallo, il magister Iacino De
Orlando, Giovanni De Petrozza, Ercolino Bruno ed un «numero copioso» di
altri rappresentanti del casale. Frate Francesco Croppella da
Castrovillari, monaco dell'Ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco
d'Assisi, figura come rappresentante della controparte ricevente[4].
Nell’atto, inoltre, è riportato che il sindaco, gli eletti e il
mastrogiurato, «per lo credo de Idio et della gloriosa Vergine Marie
Matre de Idio et per lo amore che han portato et portano a detta Santa
relegione et essendo santa opera benignamente et gratiosamente in detto
casale [Laurignano] fundano uno monasterio di detto Ordine et percio
assignano et donano a detta relegione et per essa a detto frate
Francisco [Croppella] presente la ecclesie de Santa Marie de la Serra de
mecto augusto posta in lo territorio di detto casale loco ditto la
Stocta in confine la possessione del mag.co Domenico De Florio via
publica et altri fini»[5].
I Francescani castrovillaresi ottennero dalle autorità locali benefici
come la riscossione di gabelle e altri censi, e vennero accolti dai
Laurignanesi con molta benevolenza. I frati, dal canto loro, celebravano
«misse et altri divini uffici ad honor di Idio» e, attraverso l'adozione
di «vulgari sermoni» comprensibili a tutti, soprattutto nelle campagne,
insegnavano alla gente nuove pratiche religiose. Con loro si diffuse la
parola intesa come sermone, arringa, discorso militante[6] .
Nel secondo documento, rogato nel 1592 dal notaio De Luca di Cosenza, è
riportato che lo stesso frate Francesco, chiese ed ottenne dal nobile
Francesco De Ruggero un terreno nel casale di Laurignano per fondarvi ed
erigervi, con l'ausilio di Dio, un monasterium sotto il titolo di S.
Maria della Sanità. Il De Ruggero, spinto da zelo e carità, concesse il
terreno in una località detta S. Basilio[7], forse l'attuale località
Turra 'e Santi, nella zona di Granci. I Conventuali vennero a Laurignano
e chiesero la licenza di «pigliare casa» per prendersi cura degli
infermi e per compiere «santa opera pia», secondo la rigida applicazione
dei decreti tridentini inaugurata da Pio V e proseguita dai suoi
successori.
Un terzo documento, rogato dal notaio Plantedi nel 1592, ci informa che
il dominus laurignanese dell'epoca, il ricco possidente Goffredo De
Ruggero, cedette al monastero di S. Maria della Sanità un casalino
scoperto in Laurignano, nella località detta Casa sottana. Nel documento
è riportato testualmente: «Giuffrida de Rugerio de Laurignano amore Dei
donavit monastero S.ta Maria de la Sanità de Laurignano domus cum
casaleno scopertum in Laurignano loco ditto Casa sottana iuxta domus
Prudente de la Regina ortus Domenico De Florio» [8]. Nella zona di S.
Maria Stozza e in località Turra 'e Santi, le vestigia di questi edifici
di culto rappresentano una testimonianza tangibile del passaggio e della
fervente attività pastorale dei Francescani sul suolo laurignanese. Sui
muri perimetrali del monastero di Granci, ancora oggi, s'intravedono
alcune effigi sacre sbiadite dal tempo. Secondo la tradizione orale
queste effigi apparterrebbero a S. Antonio, il quale abbracciò l'ideale
francescano animato da fervoroso e sincero slancio.
L'avarizia delle fonti a disposizione, purtroppo, non ci consente di
scandagliare puntualmente i tratti peculiari dell'apostolato francescano
nel nostro casale. Sappiamo per certo, tuttavia, che la loro
predicazione scuoteva profondamente l’animo delle masse popolari,
parlando della passione e del giudizio finale. Pietro De Leo ha scritto
in proposito: «furono gli ordini mendicanti – Minori Osservanti e
Domenicani – a rinverdire la speranza di una chiesa più consona agli
ideali di Cristo e a promuovere istanze di riforma (...), soprattutto
attraverso la predicazione e la confessione»[9].
Le campagne laurignanesi erano popolate da contadini illetterati che
vivevano nella più completa ignoranza, una umanità dagli orizzonti
mentali fragili, con l'indole semplice e sentitamente religiosa,
distante dalla politica cittadina e da qualsivoglia anelito culturale o
interesse economico. Il messaggio evangelico richiedeva pertanto un
linguaggio facilmente comprensibile e scevro da astruserie teologali,
denso comunque di contenuto dottrinale. Su questo terreno fertile i
Francescani spargevano il seme dei loro sermoni. Il loro impegno
religioso, basato sulla predicazione itinerante e sulla povertà,
appariva ai fedeli come una splendida novità, capace di sopperire ad un
clero secolare che aveva smarrito il rapporto con i parrocchiani a causa
di una condotta di vita discutibile, all'ignoranza, al modo di
comunicare complicato, infarcito talora di latinismi e di citazioni
bibliche.
Se i Francescani si rivolgevano agli analfabeti, ai poveri e contadini
dei centri rurali intorno a Cosenza, i Domenicani, i «frati
predicatori», operavano soprattutto in città, indirizzando le loro
prediche ad un pubblico più istruito. Tuttavia, non disdegnavano il
possesso di proprietà e beni fondiari. Due documenti datati 1586[10] e
1612, ci danno notizia della presenza dei Domenicani del monastero di S.
Domenico di Cosenza nel territorio di Laurignano. Detti frati risultano
proprietari di un castagneto e di altre proprietà. Il documento del 1612
ci informa che «i reverendi patri del monasterio de Santo Dominico di
Cosencta, il reverendo patre frate Honoratio di Rossano subpriore di
detto monasterio di Santo Dominico, il patre maestro Vicenzo di
Petrafita regente del monasterio, patre frate Marco de Altomonte sindico,
patre frate Petro de Montilione, patre frate Francisco di Maguli
bacilleri, patre frate Giovanni Battista de Santa Severina, patre frate
Petro de Francavilla monaci de detto reverendo monasterio de Santo
Dominico de Cosencta (…) asseriscino tenere e possidere giusto titulo et
bona fide come veri patroni uno loro castagnito sito e posto nel
territorio di Laurignano loco ditto Lacritani confine la possessione di
detto Scipione [De Ruggero] lo quale castagnito asseriscino rendere
annui ducati cinque a detto monasterio di Santo Dominico di detta città
di Cosencta»[11]. Inizialmente i frati vivevano grazie alle elemosine
dei fedeli; per questo si dissero frati mendicanti. Successivamente
cadde la prescrizione della povertà, e pertanto furono autorizzati a
possedere beni in comune, anche se rimanevano, singolarmente,
poveri[12].
Gli Ordini mendicanti, come è noto, nacquero e si diffusero nel XIII
secolo. La Chiesa se ne servì per contrastare l'azione corrosiva e
dilagante delle eresie. La cultura monastica, infatti, legata ad una
società prettamente rurale, «non era più in grado di rispondere alle
esigenze dei cristiani, né ai grandi problemi della Chiesa, che erano
l'incompiutezza della riforma gregoriana e la rapida diffusione delle
eresie»[13]. Gli ordini principali furono appunto i Predicatori, ovvero
i Domenicani, e i Minori, detti Francescani. Questi Ordini, dediti alla
predicazione missionaria, vivevano in comunità, da regolari, in mezzo
agli uomini. Contrariamente ai monaci non contemplavano il «disprezzo
del mondo», né si abbandonavano alla solitudine collettiva del monastero
a piangere i propri peccati. Abitavano insieme, in povertà, nel
convento, da dove uscivano liberamente girovagando a elemosinare e a
diffondere la parola di Dio[14]. Era, questa, una novità assoluta, che
rispondeva a un'esigenza reale della comunità dei fedeli.
La predicazione, la pratica dell'umiltà e una vita povera e itinerante,
elevate a scopo principale di un preciso impegno religioso, appariva
agli occhi dei fedeli come una proposta completamente innovativa, quindi
meritevole di essere accettata favorevolmente e con entusiasmo[15]. In
particolare gli exempla costituivano uno strumento di comunicazione
assai efficace, utili a diffondere tra la popolazione i criteri di
discernimento tra il bene e il male, a individuare il peccato e indurre
alla penitenza per incamminarsi sulla via della salvezza. Nel delineare
rapidamente la caratteristica principale che accomunava i due ordini
mendicanti e i monaci cistercensi, Kaspar Elm ha scritto che essa «si
può descrivere in poche parole: la diretta osservanza del Vangelo ed il
carattere personale dell’imitazione di Cristo, (…) sentiti come
anticipazione di quella religiosità soggettiva e non prefissata dalle
istituzioni che si è venuta sostituendo in misura crescente alla
tradizionale devozione ecclesiastica»[16].
Nel periodo di transizione dal Medioevo all'Età Moderna lo spazio
sociale e urbano di Laurignano si andò via via strutturando attorno alla
presenza organizzata degli Ordini mendicanti e, probabilmente, come
vedremo più avanti, delle Confraternite laicali. Con il declino dei
grandi monasteri si affermò un modello umano contrassegnato dai valori
di umiltà, povertà ed ascetismo professati appunto dagli Ordini
mendicanti. Soprattutto in Calabria, dove la tradizione eremitica
affondava nell'esperienza monastica bizantina, l'egemonia francescana
consolidò non solo la prassi dell'eremitismo irregolare suburbano, ma
contribuì anche ad affermare una sorta di misticismo anacoretico, la
capacità di profezia che connotava la tradizione niliana, gioachimita e
di Francesco di Paola, come requisiti essenziali di una vera «imitatio
Crhisti».
L'intero contado laurignanese, tra la fine del Medioevo e gli albori
dell'Età Moderna, era disseminato di luoghi di culto, romitori attigui a
minuscole chiesette periferiche nelle cui celle dimoravano religiosi
intenti a svolgere i divini uffici. Questi piccoli edifici erano
appartati ma non tanto lontano da impedire alla comunità di osservare
direttamente le virtù esemplari di questi santi uomini e di diffonderne
l'esempio. Dalle carte e dai ruderi superstiti si evince che anche i
monasteri fondati a Laurignano, sul finire del XVI secolo, sorgevano
lungo la «viam publicam». La fuga dal mondo, ha scritto Bronislaw
Geremek, «non significava in maniera univoca la fuga dalla società: essa
era, innanzitutto, un rifiuto del modo di vivere che impediva la
diffusione e la realizzazione degli ideali cristiani. Gli eremiti
conducevano spesso una vita nomade, i loro romitori erano situati in
luoghi ben visibili e visitabili, lungo le strade o agli incroci, come
predicatori itineranti si fermavano laddove potevano insegnare il
modello basato sui comandamenti evangelici»[17].
Il sito della Stozza si prestava ad accogliere una piccola comunità di
religiosi: la presenza dell’acqua nei dintorni, la facilità nel reperire
pietre e calce sul versante dello Jassa, e, soprattutto, la prossimità
alla via Popilia dovettero risultare fattori decisivi che spinsero i
frati Francescani ad erigervi il monasterium.
Se il santo della Porziuncola e il castigliano Domenico Guzmàn fondarono
gli Ordini mendicanti più noti e diffusi – Francescani e Domenicani,
precursori nel mondo cristiano di una nuova forma di monachesimo che
incarnava un ideale ascetico di perfezione in povertà evangelica – il II
Concilio di Lione, nel 1274, riconobbe anche gli eremiti di
sant'Agostino e i Carmelitani[18]. Purtroppo, come notato in precedenza,
le prime testimonianze credibili riguardo agli Ordini mendicanti nel
territorio di Laurignano si riferiscono all'ultimo quarto del XVI
secolo. Per i secoli precedenti, le fonti tacciono completamente.
In epoca moderna, a Laurignano, gli ordini mendicanti, oltre alla
predicazione, amministravano spesso i sacramenti, in particolare la
confessione. Svolgevano in pratica un compito fuori dalla portata del
basso clero con cura d’anime, che richiedeva una particolare
preparazione, rappresentando i due momenti chiave dell’istruzione
religiosa dei fedeli. Il Liber emortualium ci informa che, l’anno 1747,
Teresa Federico, prima di morire presso la sua abitazione di Granci, si
confessò ad un frate Riformato. Nel 1776, Agostino Ritacca e Vito
Leonardo Ciardullo, morti nella zona di Granci, ricevettero il «sacro
viatico» da un certo frate Pietro Asta, «economus» dell’Ordine dei
Riformati. Lo stesso anno, «frater Petrus Asta ordinis Reformatorum
sancti Francisci», compare nel Liber baptizatorum in occasione del
battesimo di una «puellam».
Nello stesso periodo, altri Ordini religiosi si conformarono alla
fisionomia dei Francescani e dei Domenicani, pur non ottenendo il loro
stesso prestigio. Nel contado laurignanese, oltre alle citate proprietà
dei Domenicani, abbiamo testimonianza dell’assidua frequentazione di
altre comunità di religiosi, le quali risultano intestatarie di
proprietà terriere. I Registri della parrocchia di S. Oliverio, in
particolare il Liber emortualium del '700, ci ragguagliano sulla
presenza nella zona di Granci di alcune pertinenze dei Carmelitani, i
quali si erano insediati a Vadue di Carolei, sulla sponda opposta del
Busento, a partire dal 1530[19]. Nel 1726 è attestata la morte della
ventenne Anna Mannarino «in domo et pago carmelitanorum ubi dicitur li
Granci». L'anno successivo, in «pago carmelitanorum» mori il piccolo
Tommaso Trombino[20].
Tra i mendicanti, l’Ordini che mostrò maggiore vitalità fu senz’altro
quello dei Minori Francescani. Nella seconda metà del XIV secolo, per
merito di Paoluccio da Foligno, si affermò la riforma francescana, detta
Osservanza, che si estese in tutta Italia. Papa Leone X nel 1517 sancì
la loro separazione dai Conventuali. «Sul tronco Osservante – scrive il
Russo – s’innestò poi un altro movimento di Riforma, detto della più
Stretta Osservanza o dei Riformati, che, iniziatosi verso la metà del
sec. XVI, in breve si affermò splendidamente»[21].
Ai Conventuali Francescani della località Turra 'e Santi subentrarono
appunto i Riformati, i quali, non potendo passare dall’Osservanza tra le
fila dei Cappuccini, per il divieto della Santa Sede, formarono delle
case di ritiro. Per quanto concerne la presenza di questi frati nel
territorio di Laurignano le notizie sicure rimontano alla seconda metà
metà del XVIII secolo. Il Liber emortualium ci dà notizia che l’anno
1747 Teresa Federico, prima di morire presso la sua abitazione di
Granci, si confessò ad un frate Riformato. Nel 1776 Agostino Ritacca e
Vito Leonardo Ciardullo, morti nella stessa zona, ricevettero il «sacro
viatico» da un certo frate Pietro Asta, «economus» dell’Ordine dei
Riformati[22]. Lo stesso anno, «frater Petrus Asta ordinis Reformatorum
sancti Francisci», compare nel Liber baptizatorum in occasione del
battesimo di una «puellam»[23].
La località denominata oggi Turra ‘e Santi, nella zona di Granci,
ampiamente citata nelle pagine precedenti, dovette risultare più che
idonea all’attuazione del loro ideale ascetico. Essi si proponevano la
stretta osservanza della regola, in spirito di povertà e d’umiltà,
«ritirandosi dai conventi cittadini per vivere nelle asprezze delle
solitudini e degli eremi o dei conventini rurali»[24]. Questi frati
conducevano un vita austera, attratti da un anelito profondo verso la
penitenza e la santità. Si cibavano di pane, frutta, erbe. Si nutrivano
di cibi cotti solo due volte la settimana. Dormivano sulla nuda terra o
sul tavolato; di notte si alzavano per il coro e calzavano sandali o
zoccoli; avversavano il lusso e la mondanità, le scienze profane e i
grandi e fastosi monasteri della città[25].
Accanto ai Riformati, nel Settecento, a Laurignano, è attestata la
presenza dei Padri Teresiani, i quali detenevano diverse pertinenze. Il
Catasto Onciario di Tessano relativo al 1743 ci dà notizia di un certo
Andrea Maurello, il quale possedeva «una possessione luogo li Chiatri
giusta li beni di PP. Teresiani di Cosenza» con una rendita di dieci
ducati e mezzo[26]. Anche Domenico Naccarato, di professione bracciale,
abitava in una torre dei PP. Teresiani presso la località Jassa [27] .
Tra i beni della chiesa parrocchiale di S. Oliverio, nella stessa fonte,
risultano annotati un «orticello in luogo detto sotto la Chiesa alborato
di celsi neri e poche fichi iuxta li beni de li PP. Teresiani», con una
rendita di 39 carlini[28], e una «possessione in luogo detto il Vallone
iuxta li beni de li PP. Teresiani e via publica alborata di fichi,
querce e tre aratorie»[29].
Come si è visto, anche nei secoli dell’Evo Moderno il territorio di
Laurignano, al pari di tante altre zone del circondario cosentino, è
stato teatro dell’intenso attivismo spirituale di ecclesiastici
appartenenti ai più disparati ordini. Attraverso un costante impegno
essi hanno contribuito a plasmare il paesaggio agrario ma anche,
soprattutto, ad imprimere nella coscienza dei Laurignanesi le stimmate
di una religiosità travagliata e inquieta, esprimentesi ancora oggi
nelle forme autenticamente genuine della devozione e del culto verso la
Vergine della Catena e Sant'Oliverio, il venerato patrono.
Francescani e poi Riformati, Domenicani, Carmelitani e Teresiani, con
ogni probabilità, rimasero a Laurignano o frequentarono assiduamente il
territorio fino alla Rivoluzione Francese, la quale soppresse e disperse
quasi tutte le comunità monastiche incontrate sulla propria strada,
dilapidando anche un ingente patrimonio storico, artistico e spirituale.
Tra la fine del XV e i decenni centrali del XVI secolo, nella vicina
Dipignano, furono invece Osservanti e i Cappuccini a catalizzare
l’attenzione delle masse del circondario. Gli Osservanti fondarono un
convento dedicato all’Annunziata, mentre i Cappuccini, nel 1538, vi
eressero il primo convento della Provincia di Cosenza, intitolato a S.
Maria degli Angeli[30]. Dipignano, inoltre, tra i vari personaggi di
rilievo annoverati tra i Cappuccini, può vantare Francesco da Dipignano,
che fu tra i primi 12 iniziatori della riforma, Agostino da Dipignano,
morto nel 1572 e, soprattutto, Girolamo da Dipignano, che fondò la
Provincia lucana e fu Provinciale di Calabria nel 1539; Francesco da
Dipignano, Provinciale nel 1543, il quale fu anche uno dei fondatori
della Provincia di Napoli[31].
A Laurignano, in quel periodo, come già osservato, le istanze di riforma
prendevano sempre più corpo soprattutto per merito degli Ordini
mendicanti, «sulla scia di tradizioni eremitiche mai sopite, di
esperienze monastiche plurisecolari, di modelli ascetici assai vivi
nella pietà popolare»[32]. Frate Giacomo da Laurignano fu probabilmente
attratto da questo messaggio salvifico e da tali istanze, quando decise
di indossare l’abito regolare dei Cappuccini. Il suo nome lo troviamo
annotato in un elenco onomastico-toponomastico dei Cappuccini cosentini
vissuti nel periodo antecedente lo smembramento dell’unica Provincia
monastica, nel 1584[33].
[1] G. Barrio, De Antiquitate et situ Calabriae, Roma 1571, Libro I, pp.
66-70
[2] G. Valente, L'Età Moderna, in Cosenza. Storia Cultura Economia,
Soveria Mannelli 1991, p. 75
[3] Cfr. F. Russo, I Francescani Minori Conventuali in Calabria
(1217-1982), Catanzaro 1982, p. 99
[4] ASCS, notaio Maugeri, anno 1591, sch. 22
[5] Ibidem
[6] J. Le Goff, La civiltà dell'Occidente medievale...cit., p. 178
[7] ASCS, notaio De Luca, anno 1592, sch. 17
[8] ASCS, notaio Plantedi, anno 1592, sch. 107v
[9] P. De Leo, Mezzogiorno medioevale...cit., p. 192
[10] ASCS, notaio Plantedi, anno 1586, sch. 246v
[11] ASCS, notaio Maugeri, anno 1612, sch. 221v
[12] A. Barbero – C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci...cit., p. 265
[13] J. Le Goff, Il cielo sceso in terra. Le radici medievali
dell'Europa, Bari 2004, p. 176
[14] A. Barbero – C. Frugoni, Medioevo. Storia di voci, racconto di
immagini, Bologna 1999, p. 265
[15] Ibidem, p 265
[16] K. Elm, Questioni e risultati della recente ricerca sui
cistercensi, in I Cistercensi nel Mezzogiorno medioevale, a cura di H.
Houben e B. Vetere, Atti del convegno internazionale di studio in
occasione del IX centenario della nascita di Bernardo di Clairvaux
(Martano – Latiano – Lecce, 25-27 febbraio 1991), Galatina 1994, p. 7
[17] B. Geremek, La pietà e la forca. Storia della miseria e della
carità in Europa, Bari 2003, p. 26
[18] J. Le Goff, Il cielo sceso in terra...cit., p. 176
[19] F. Russo, Storia dell'Arcidiocesi...cit., p. 159
[20] ASCS, Liber emortualium parochialem ecclesiam S.ti Oliverii
Martyris (1715-1777). D'ora innanzi Liber emortualium
[21] F. Russo, Storia dell'Arcidiocesi...cit., p. 137
[22] Ibidem
[23] ASCS, Liber baptizatorum parochialem ecclesiam S.ti Oliverii
Martyris. D'ora innanzi Liber baptizatorum
[24] F. Russo, I Francescani Minori...cit., p. 84
[25] F. Russo, Storia dell'Arcidiocesi...cit., p. 142
[26] ASCS, Catasto Onciario
[27] Ibidem
[28] Ibidem
[29] Ibidem
[30] F. Russo, Storia dell’Arcidiocesi…cit., pp. 139-144
[31] Ibidem, pp. 144-145
[32] P. De Leo, Mezzogiorno medioevale…cit., pp. 112-113
[33] P. G. Leone, I Cappuccini e i loro 37 Conventi in Provincia di
Cosenza, parte 1ª, Vol. I, Cosenza 1986, p. 28
|