Donna Cusina

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La medichessa della Calabria Citra
Donna Cusina di Filippo da Pastino, vissuta a Dipignano ai primi del Quattrocento, fu una delle prime donne medico della Calabria ad esercitare la professione con l’abilitazione, documentata con diploma regio
Se Ippocrate e Galeno hanno segnato la scienza medica dell’antichità, il Quattrocento calabrese, accanto all’opera di un curatore d’anime e taumaturgo d’eccezione come Francesco di Paola, conobbe Cusina, figlia di Filippo de Pastino, caldararo di Dipignano, che esercitò la professione di medichessa in chirurgia e potè senz’altro fregiarsi del primato di essere una tra le prime donne medico del circondario di Cosenza e dell’intera Calabria Citra. Un diploma datato 22 marzo 1404, rilasciato da Re Ladislao, ci informa che alla medichessa venne rinnovata l’abilitazione ad esercitare medicina e chirurgia in Cosenza e nel suo distretto. Ciò in considerazione del fatto che “ad mulieres curandas viris sunt femine aptiores”. Non potendosi recare alla Regia Curia per sostenervi l’esame e prestarvi giuramento, Cusina venne esaminata dal maestro Benedetto di Roma, giudeo e fisico, dimorante a Cosenza, il quale ricevette l’incarico di verificarne accuratamente le capacità. Al Giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana venne affidato il compito di riceverne il giuramento. Dopodiché essa poté esercitare la medicina “in medicandis vulneribus, ulceribus, apostematibus, doloribus, languoribus, egretudinibus et infirmitatibus ac aliis et diversis morbibus et passionibus”. Altro, di Cusina, della carriera professionale, dei casi occorsile durante l’esercizio, non si sa ma un quadro fedele di quel tempo e della temperie culturale che lo caratterizzò, è riportato nell’ottimo lavoro di E. Chiaramonte, G. Frezza e S. Tozzi, Donne senza Rinascimento. Questa ricerca d’ampio respiro - che, peraltro, cita la Nostra come patentata del Regno di Napoli - è condotta su un arco temporale di vari secoli e traccia una storia della medicina, ancora molto più arte che scienza che, per l’organizzazione sociale e culturale coeve, dà spazio, oltre alle magistrae (le medichesse patentate come la nostra Cusina) anche ad altre figure diciamo professionali quali, conciaossa, guaritrici, levatrici accomunando le varie professionalità in un’estesa e fluida classe che scambiava competenze pratiche, sapere colto e vorremmo dire intuito, pratica e dolcezza femminile su cure che, oltre al corpo, investivano anche lo spirito. E’ appena il caso di ricordare che, a metà tra storia e leggenda, Trotula de Ruggiero è indicata come fondatrice della famosissima Scuola Medica Salernitana. Decisamente altri tempi rispetto ai secoli successivi (XV-XVII-VXIII) quando la medicina diventerà una delle arti maschili e di cultura dotta, per eccellenza, e le donne saranno addirittura espropriate del diritto di esercitare la medicina quando non accusate di stregoneria per l’uso di rimedi naturali e preghiere nelle cure di diversi mali. Occorreranno tempi e studi molto al di là del “secolo dei lumi”per rivalutare la presenza femminile in medicina, anche se il tempo (in questo caso la Storia) hanno dalla loro, come sempre, la galanteria.