Il valore della toponomastica popolare cosentina

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      Il toponimo è il nome di un luogo. Un nome che questo luogo ha avuto in un determinato periodo storico e che di esso esprime una qualche essenza: l’esistenza di una bottega artigiana, di un mulino, di una taverna, di un palazzo signorile, di uno spiazzo o di un gelseto e via discorrendo.
Ecco allora che il toponimo si carica di un significato storico che diventa di grande importanza poiché è capace di dare delle informazioni preziose, quasi uniche, e non comunemente riconoscibili nelle fonti scritte. Essi sono importanti reperti linguistici- alla stessa stregua dei reperti archeologici- di grande utilità per chi vuole ricostruire le vicende remote di un territorio o individuare qualche suo essenziale elemento; indubbiamente hanno una grande rilevanza per ogni ricostruzione storica. Sono stati i toponimi, ad esempio, a far individuare il tragitto esatto dell’antica Via Popilia, consentendo di sciogliere problemi che altrimenti non si sarebbero potuti risolvere.
Cosenza ha nei suoi toponimi una ricchezza straordinaria che difficilmente si trova in altri luoghi, denominazioni profonde che ci permettono di scendere nelle viscere del passato, in quella quotidianità essenziale fatta di semplici cose, di gesti umili, che costituiscono l’ossatura primaria della vita cosentina del passato. Il poter recuperare tutta questa ricchezza non è difficile, essa risiede negli archivi e nelle mappe catastali, dove si scoprono nomi suggestivi perché capaci di darci informazioni irripetibili. Ed ecco emergere toponimi, conosciuti o meno, come Ruga de lo Celso o sopra il mezzo tomolo, avanti li campani, sotto il mezzo tomolo del grano, li Padulisi, Revocati, Chiazza di Zafaranari , Chiazza di Mercanti, Chiazza degli Argentieri, Largo delli Pagani, Judeca, Podere Paradiso, Capopiazza, Mulino dei Quattro, Ruga di S.Tommaso, Cortile di S.Caterina dietro la Misericordia, Ruga Toscana, Viarocciolo, Xerxeri, S. Maria della Manna, Mojo o S.Francesco Vecchio, Pignatari oltre il Vallone, Ruga infama, Copani, le Concerie, lu Campu, Gelseto, Chianu d’Annunziata, Chianu e S.Leonardo, S.Vito e S.Eustachio, Iostra Vecchia o Strada degli Angeli, li Casciari, li Speziali, li Pettini, le Paparelle, le Cannuzze, e tanti altri che sono unici testimoni di una precisa realtà cosentina e, come fasci di luce, illuminano un pezzo della nostra storia.
In un atto cinquecentesco dell’Archivio di Stato di Cosenza, datato 12 ottobre 1570, di cui un esemplare in pergamena si trova nell’Archivio del Capitolo Cosentino, perg.n.61, si rintracciano due toponimi dell’antica Cosenza: S.Francesco Vecchio e Vigna della Corte. Si legge nel documento: “Il nob. Gio: Domenico Santanna da Cosenza vende al mag.co Francesco Telesio da Cosenza un podere vignato e alberato, sito in territorio di Cosenza, contrada S.Francesco Vecchio, misurante 72 canne di lunghezza e 55 e ½ di larghezza, per il prezzo di ducati 170, in pagamento del quale il Telesio cede al Santanna un censo attivo affrancabile di annui ducati 41, da lui posseduto sulle case del fu mag.co Matteo Pagani, site a Cosenza in località Vigna della Corte”. Come non sottolineare la suggestione che evoca in noi la Calata della Corda, l’attuale Via del Liceo, un toponimo popolare che ricorda una storia galante, accaduta in questa strada, nella seconda metà del XVII secolo. Un cronista anonimo narra che il Sindaco dei Nobili, Geronimo Quattromani, facilitò una notte la fuga per amore di due giovinette della nobiltà cosentina, Beatrice Sersale e Belloccia Sambiase, educande nel Monastero delle Vergini. La fuga rocambolesca, avvenuta per mezzo di una corda appesa a una finestra, costrinse il cavaliere mediatore a restare lontano da Cosenza, per timore di vendette, per più di quindici anni.
E che dire poi del fascino evocato dal toponimo Vinella da Nive, attualmente Via Giuseppe Campagna, che ricorda la via dove si svolgeva la vendita della neve proveniente dai monti della Sila e da Dipignano, antico casale di Cosenza e paese delle mie origini. Fonti orali, fiorite sulla bocca della gente dipignanese, riportano storie di contadini che trasportavano nella città capoluogo, la neve protetta in fasci di paglia che si conservava in appositi fondachi sotterranei. Interessante un documento dell’Archivio di Stato di Cosenza, datato 8 novembre 1582, che ci informa dell’esistenza di un altro significativo toponimo: il Cortiglio. Il documento così recita: “D.Roberto Telesio da Cosenza riceve dal rev. Frà Filippo de Gaeta, milite di S.Giovanni Gerosolimitano, suo consanguineo, la donazione di ogni diritto a questi spettante su di una osteria sita in Cosenza nel luogo detto Cortiglio ..”
Fonti orali, giunte sino a noi, riportano il toponimo piazza dei follari, sorta sulle ceneri di un antico e bellissimo giardino. Soppresso nel 1809 il Monastero di S.Maria delle Vergini e adattato ad orfanotrofio, nel 1840 il giardino venne spianato e destinato a piazza. Nella piazzetta si vendevano i “follari” o “cuculli”, nomi popolari dei bozzoli del baco da seta, il cui allevamento era un’industria familiare molto diffusa a Cosenza e nei suoi casali. La piazza dei follari stava a testimoniare l’importanza dell’attività serica nella nostra città, diventata uno dei maggiori poli produttivi, il cui mercato si estendeva fino a Lucca e a Genova ed anche all’estero, in Provenza e nella Spagna catalana.
Tanto cara alla gente di Cosenza è la via popolarmente definita ‘a ficuzza per un arbusto che da tempo immemorabile vi attecchisce con insistenza radicato in un muro, quasi come un tenace simbolo di vita, che a dispetto dei colpi d’accetta non si rassegna a scomparire. Scrive Gabriella De Falco: “‘A ficuzza è ufficialmente denominata via Abate Salfi in memoria del critico letterario nonché patriota della repubblica Partenopea Francesco Saverio Salfi. E’ una discesa ripida ed acciottolata, affiancata da antichi palazzi, da portoni blasonati, da giardini pensili e balconi fioriti.” (1)
Come non richiamare alla memoria, tra gli innumerevoli toponimi cosentini, l’antica Via dei Pettini. Nella parte anteriore di questa via esponevano la loro mercanzia, nei giorni di mercato, i venditori di pettini di bosso, provenienti per lo più da Scigliano, e si vendevano anche gli attrezzi per cardare e pettinare la lana. Nella Via dei Pettini, interessante zona archeologica, si disotterrarono nel 1842 i resti di un tempio con colonne e statue di porfido.
E’ scomparsa ormai dalla memoria collettiva l’antica Ruga dei morti. Alcuni studiosi, prendendo in considerazione le carte dell’Archivio di Stato di Cosenza e, in particolar modo, alcuni rogiti notarili del XVI secolo, la definiscono “a parte dextera ecclesiae”, ritenendo che fosse un vicolo sul lato destro della Cattedrale di Cosenza- poi chiuso da successive edificazioni - che finiva nella “carnara” dei morti della chiesa stessa, al di sotto dell’odierna cappella dei Nobili. Oltre il Crati si estendeva il Rione dei Pignatari, in cui si svolgevano funzioni produttive e commerciali, importante per la fiera di S.Agostino, concessa da Carlo V nel 1533 e che durava dodici giorni a partire dal 22 agosto. Il toponimo Pignatari è legato alla presenza di artigiani produttori di vasi di terracotta, (le pignate), ed è ricordato, inoltre, in un atto notarile del 14 marzo 1555, conservato presso l’Archivio di Stato di Cosenza e dal Frugali, che così chiosa: “A 30 ottobre 1590…venne in tanta inondazione il fiume Grate, che annegò tutti li Pignatari” (2).
Una strada di questo rione è denominata ancora oggi Garruba, toponimo che, secondo l’Alessio, deriva dall’arabo Harrub. Questo toponimo è documentato da un atto notarile del 19 dicembre 1561, contenuto nei faldoni dell’Archivio di Stato di Cosenza, e lo ritroviamo, ancora, il 12 gennaio 1639 in un altro ingiallito documento, che così recita: “Il rev. D.Giovanni Severini, quale procuratore del Capitolo Cosentino, prende possesso di una casa del fu Gerolamo Greco da Cosenza, sita in Cosenza alla Garruba…Notaio Ippolito Manfredi da Cosenza.Giudice Muzio De Luca da Cosenza”. I documenti confermano l’antichità di tale toponimo, che, invece secondo Enzo Stancati e Mario Borretti, trarrebbe origine da don Salvatore Garrubba, Preside borbonico dal 1798 al 1799. Scrive Enzo Stancati: “Giunto a Cosenza nel 1798, il Garrubba aveva terrorizzato i cosentini, incarcerandone centinaia. Proclamata la Repubblica giacobina nel 1799, il Preside tentò di fuggire a Rende travestito da popolano, ma venne scoperto e a stento evitò il linciaggio. In seguito, con il cardinale Ruffo alle porte della città, incitò alla reazione i pregiudicati del quartiere di S.Giovanni Gerosolimitano, dirigendone il saccheggio per tre giorni. L’infame don Salvatore venne poi destituito dallo stesso cardinale Ruffo” (3).
Ci sono luoghi a Cosenza, così carichi di triste risonanza che l’eco non accenna mai a spegnersi: è il caso della Via delle Forche vecchie, attualmente il tratto iniziale di Via XXIV Maggio. La zona fu per lunghi anni luogo di esecuzione, per condanna alla forche e per fucilazione di briganti e criminali. Durante l’occupazione francese, dal 20 agosto del 1806, ogni giorno, da nove a dieci briganti vi vennero impiccati o fucilati. Doveva essere uno spettacolo da brividi vedere quei corpi lasciati penzolare, monito per il popolo e per tutti i nemici del dominatore. “Allorché, nel 1821, ritornati i Borboni, si volle mutare il luogo delle esecuzioni, il Decurionato cittadino protestò presso il Procuratore Generale della Gran Corte Criminale di Calabria Citra per aver interrotto la consuetudine. Inutilmente: le forche diventarono…vecchie” (4).
Al termine di queste note di toponomastica popolare cosentina ritengo opportuno chiudere con una citazione del Prof. John Trumper, ordinario di Glottologia nell’Università della Calabria, che sottolineando il positivo giudizio della toponomastica, disciplina ausiliaria della storia, come patrimonio che riflette, dopo secoli di lenta e graduale trasformazione, il carattere, la fantasia, le consuetudini e l’idioma di una comunità, scrive: “mappare i nomi dei luoghi, costruire i paradigmi che li regolano, spiegarli ove sia possibile, è una tappa importante nella costruzione di una corretta coscienza storica e della consapevolezza della propria identità.” (5).
La denominazione delle strade è una cosa seria, è la città che si nomina, che si individua e si qualifica, e farlo con personaggi che hanno dato lustro e decoro alla nostra città – e Cosenza ne ha tanti più di ogni altro centro calabrese – o farlo col richiamare attività, eventi, caratteri, significa dare alla nostra città un segno della sua realtà più profonda che non fu una realtà da niente. Ricordiamoci che a scuola la prima cosa che si fa con i ragazzi che studiano il territorio, prendendone possesso, è partire dal toponimo, dal nome della via o del luogo, dal personaggio a cui si intitola, e attraverso questo percorso guidarlo ad una delle scoperte più affascinanti che possa fare un abitante di una città
                                                            

Note
(1) Gabriella De Falco, Viscere di Tufo- la città raccontata, Santelli, Mendicino(CS), 1994, pp.40-41
(2) Edoardo Galli, Cosenza seicentesca nella cronaca del Frugali, Collezione Meridionale, Roma,
1934, p.40.
(3) Enzo Stancati, Cosenza - Toponomastica e monumenti, Edizioni Brenner, Cosenza, 1979, p.82
(4) Enzo Stancati, cit., p.81
(5) John Trumper, Alcuni problemi generali di toponomastica calabrese, in Toponomastica calabrese, a cura di John Trumper, A.Mendicino, M.Maddalon, Roma, 2000, p.121.