Il FONDATORE DELLA CHIESA
DI DIPIGNANO,
FRANCESCO SCORNAIENCHI
Nasce
nel 1869 e muore nel 1953. Quest'uomo fino al 1902 era un fervente
cattolico, osservava la religione cattolica in pieno e anche di più,
fin da bambino - aveva sette anni - serviva la messa, e la serviva in
ginocchio. La notte recitava orazioni: "Paternostri" e Ave Marie fino
a mezzanotte, veniva la quaresima e invece di 40 giorni digiunava 80
giorni.
Aveva la famiglia di 5 persone: padre madre e tre figli; in seguito
ebbe altre due figlie. Lavorava alle gallerie che si costruivano in
Calabria, era capo minatore, cioè lavorava la pietra.
Insieme a lui lavorava un amico abruzzese che si chiamava Nicola
Mandarino: si amavano di un amore fraterno, questi era cristiano
evangelico, di tanto in tanto gli diceva qualche parola dell'Evangelo
e lui ascoltava in silenzio; la cosa andò avanti così per molto tempo.
Un bel giorno Nicola si fece avanti e disse: "Francesco, tu sei un
uomo buono e perfetto, ma una cosa ti manca"; lui rispose: "Ma che
cosa mi manca?", e Nicola: "Ti manca la conoscenza della verità!".
E il silenzio durò ancora per parecchio tempo.
In quel mentre Francesco decise di partire per il Brasile, non si sa
se il lavoro era finito o la paga era poca. Il suo fratello e amico
Nicola gli disse: "Se c'è lavoro scrivimi, così vengo anch'io".
Francesco arrivò in Brasile, ma lavoro non ne trovò, e gli scrisse:
"Non venire che il lavoro non c'è, io devo ritornare". Ma l'altro non
si rassegnò, spinto dalle braccia di Dio partì per il Brasile. Quando
lo vide arrivare Francesco rimase stupefatto, dicendo: "Che sei venuto
a fare che qui il lavoro non c'è?" I primi giorni non gli disse nulla,
poi iniziò a evangelizzarlo e lo portò in una chiesa evangelica, che
là ce n'erano in abbondanza.
Dopo avere ascoltato il culto disse: "Sì...! E' questa la verità, qui
si adora il Signore".
Da allora quest'uomo si trasformò, divenendo un uomo nuovo.
Allora il fratello Nicola gli chiese: "Ora vuoi sapere perché sono
venuto qua? Sono venuto perché mi ha mandato il Signore apposta per
indirizzarti sulla via che hai intrapreso". Non si seppe quanto
stettero in Brasile, ma quando Francesco tornò in Italia rientrò nella
sua famiglia trasformato.
A Dipignano la parola "protestante" non si conosceva, ma se qualcuno
la pronunciava era come se avesse detto Satana.
Dunque, la povera famiglia disperata non si poteva consolare, la
moglie andò a messa a confessarsi col prete, il quale le disse che
doveva separarsi del marito.
A questa notizia la povera donna, guidata dallo Spirito Santo, capì
che il marito aveva ragione e il prete era falso, altrimenti non
avrebbe dato quel consiglio. Le due prime figlie pregavano e si
addormentavano piangendo, perché pensavano: il papà è protestante.
La prima figlia Virginia, sognò la Bibbia dentro i raggi del sole.
La seconda, Erminia, sognò una persona che le disse: non disperate,
che la via che avete intrapreso è buona, di tutte le vie è la
migliore.
Laura e Adelina nacquero dopo la conversione, e furono battezzate
cattoliche in segreto dal padre [cioè senza farglielo sapere - n.d.r.].
Allora la bocca di Francesco divenne una fiumana di predicazione della
parola del Signore: in ogni parte e in ogni luogo spandeva la parola
di Dio, teneva il culto in casa giovedì e domenica.
In gioventù Francesco lavorò nei lavori della gallerie, quando
invecchiò emigrò in Brasile, Argentina, Stati Uniti, Africa,
adattandosi a tutti i tipi di lavoro. In Italia il suo lavoro e arte
era quello del minatore, cioè lavorava la pietra: la forava e la
faceva saltare con la polvere, e la sua fede era grande e immensa,
come l'arte di forare la pietra, non lasciava individuo da
evangelizzare, dovunque si trovava e dovunque andava spargeva la
parola di Dio. Teneva il culto in casa propria perché non possedeva
nessun locale, purtroppo con tutti i suoi sacrifici e l'emigrazione e
il sudore della fronte non si arricchì; acquistò un pezzetto di terra
e una casa colonica, e quello era il suo paradiso; perciò doveva
tenere il culto in casa propria: anzi, nella camera da letto, ché non
aveva altro. Giovedì e domenica culto pubblico, e tutte le sere culto
familiare. Al culto pubblico di gente ne veniva quasi sempre.
I cattolici erano allarmati e non sapevano cosa complottare per
poterlo castigare; lui - intrepido - li riprendeva e li abbatteva
tutti; dove non poteva arrivare di persona scriveva lettere, e per
mezzo delle lettere predicava.
A Dipignano, paese di gentarelle buone e oneste, tutti gli volevano
bene e lo chiamavano zio Francesco, e con l'andar del tempo si
abituarono a sapere che era protestante.
Tutti lo ammiravano per la sua onestà e bravura e per la parola che
predicava.
Le autorità - spinte dai preti - volevano trovare il modo di
abbatterlo, ma dicevano: "Non gli possiamo fare nulla, è un uomo
onesto e la sua parola è limpida e chiara". Ma un giorno trovarono il
modo di poterlo ammazzare, ma Iddio non ha voluto.
In una chiesa cattolica esiste ancora la statua dell'Ecce Homo, che
veniva portata fuori in processione quando doveva piovere e quando
doveva fare bel tempo. Francesco si trovò a passare e non si tolse il
cappello davanti alla statua; sul momento nessuno gli disse niente, ma
un bel giorno i carabinieri lo incontrarono sulla strada che da
Dipignano porta a Paterno e per poco non venne ammazzato.
In Canada conobbe un certo Giovanni Paone, di Aprigliano; si amavano
come fratelli, e lo convertì, e lo chiamava figlio in Cristo; questo
Giovanni fondò una chiesa ad Aprigliano, ai piedi della Sila, ma poi
Giovanni morì, i figli partirono per l'America e la chiesa si sciolse.
Dunque, all'inizio della seconda guerra mondiale mandarono il pastore
Filippo Napoletano per visitare Dipignano e Cosenza; a Dipignano
veniva una volta al mese, perché non c'erano mezzi di trasporto;
rimase cinque o sei anni, poi se ne andò.
Dopo mandarono un certo Scaringi, che stette quattro o cinque anni e
dopo se ne andò. Quindi mandarono Trobia, che stette dieci anni; ma a
Dipignano veniva anch'egli una volta al mese e doveva restare a
dormire per mancanza di mezzi di trasporto.
Dunque, Francesco lavorò per 50 anni senza tregua, e nel 1953 morì; a
quei tempi Trobia le visite a Dipignano le faceva più spesso, ogni 15
giorni. La bella opera di Francesco avrebbe potuto fermarsi, ma il
Signore non ha voluto: la sua figlia si impegnò a continuarla.
Fratelli e sorelle si divisero la casa, ma Adelina comprò la stanza
dove suo padre predicava, dalla quale tolse letti e suppellettili; la
tenne tutta per l'opera del Signore: quando il pastore non poteva
venire ella teneva il culto, una semplice cosa, ma i fratelli si
accontentavano e l'opera del Signore continuò.
Passarono dodici o tredici anni e decisero di costruire una chiesetta:
Adelina diede la terra, e con l'aiuto della Tavola Valdese [l'organo
amministrativo della Chiesa Valdese, - n.d.r.] e dei fratelli tedeschi
fabbricarono una piccola chiesetta, di cui ci si è serviti per 15 o 20
anni. Ora per grazia del Signore abbiamo comprato il bel palazzo
vicino alla chiesetta, così l'opera del Signore va avanti.
ALTRE COSE CHE RICORDIAMO
DI FRANCESCO
Lui se ne stava sempre in campagna alla casa colonica, e al paese si
ritirava la sera, ripartendo la mattina dopo. Appena si alzava faceva
tre preghiere, una appena scendeva dal letto, una quando beveva una
tazza di latte o di caffè, e una quando partiva di casa.
I figli erano tutti sistemati, le era rimasta signorina l'ultima
figlia, Adelina; la moglie e la figlia le voleva pure con se in
campagna, ed esse accondiscendevano.
In estate si faceva due o tre ore al giorno di sonno, nel silenzio
della natura c'era la pace del Signore.
Un giorno, mentre lui dormiva e la moglie e la figlia stavano al
fresco di un grosso ciliegio i cui rami erano appoggiati alla casa,
passò un monaco di Laurignano che cercava del grano: la moglie gli
disse "Noi grano non ne abbiamo", ma quello cominciò a maltrattarli
perché erano protestanti, e meritavano essere ammazzati... La povera
dona gli disse "Se non te ne vai sono costretta a chiamare mio marito
che dorme dentro casa"; il monaco allora saltò sul cavallo, e per
prendere un rametto di ciliegio che pendeva sulla strada cadde da
cavallo, una decina di metri oltre un muretto ma non si fece nulla, la
buona donna gli chiese se si fosse fatto male, ma lui non rispose,
saltò sul cavallo e senza parlare se ne andò.
Un giorno Francesco incontrò una donna peccatrice, che bestemmiava
dicendo che se Dio ci fosse stato non avrebbe permesso la guerra e la
fame. Lui le rispose: "Figliola, tu con chi hai lavorato, con Satana o
con Dio? Hai lavorato con Satana, ed è Satana che ti paga".
Un altro giorno aveva trebbiato il grano (a quei tempi non c'erano le
trebbie, si trebbiava sopra un pezzo di terra rotonda appiattita come
un pavimento, su cui i buoi e i cavalli o gli asini facevano ruotare
una grossa pietra): passò un prete e disse "Benedica" (è un augurio
dialettale), e lui rispose: "Sei in grado di benedire o maledire?" Il
prete non rispose e se ne andò.
Il prete di Dipignano - che si chiamava Francesco Cozza - appena
saliva sul pulpito parlava contro i comunisti e i protestanti; l'aveva
fatto per tutta la vita, ma prima di morire chiamò i protestanti per
chiedere loro perdono; ma non poteva parlare. A quei tempi Francesco
era morto, ma il prete volle riconciliarsi con quelli che erano
rimasti.
Francesco fece la morte di un angelo: la mattina si alzò ma non si
sentiva bene; aveva una smania di morte, ma non si perse d'animo, fece
la prima preghiera (e le preghiere le faceva in ginocchio), fece la
seconda preghiera... più tardi si voleva ancora mettere in ginocchio,
ma le gambe non si piegavano; allora la figlia Laura disse: "Papà non
ti mettere in ginocchio, inchinati sul tavolo che è lo stesso". E così
fece: erano le dieci del mattino del mese di novembre (il giorno 9).
Volle andare a letto, ma non poté; un nipote lo prese in braccio e lo
portò a letto. Alle undici spirò.
Parte II
Francesco era un pastore per fede ma non per arte o studio, nessuno lo
aveva obbligato, non conosceva nessun pastore che gli avesse
insegnato; conosceva solo un vecchio pastore di nome Antonio Minervini,
che abitava a Cosenza vecchia, allo Spirito Santo. Questi non aveva
chiesa né comunità, non si sa perché fosse venuto a Cosenza; ancora la
chiesa non c'era e lui ogni tanto andava a visitare la famiglia Monaco
a Spezzano Piccolo, e i ragazzi lo prendevano a sassate. La famiglia
Monaco è stata costretta ad andarsene da Spezzano perché perseguitata
e ha formato la chiesa a Cosenza.
Antonio Minervini era molto vecchio e Francesco di tanto in tanto
andava a fargli visita, questo avvenne dopo tanto tempo dalla
conversione di Francesco.
Nel frattempo venne Alfredo Franco, che fondò la chiesa di Cosenza e
visitava pure Dipignano (questo avvenne nel 1926-28). A Dipignano il
primo matrimonio evangelico fu tra Adelina Scornaienchi, figlia di
Francesco, ed Eugenio Presta.
Francesco non faceva il pastore per denaro: nessuno glielo imponeva,
glielo aveva comandato il Signore; lui diceva che se qualcuno gli
avesse offerto una paga l'avrebbe rifiutata.
A Dipignano c'erano due preti, Cozza e Arturo, che l'hanno combattuto
abbastanza; Arturo era stato ridotto al silenzio, quando non lo poteva
raggiungere gli spediva lettere.
Quando si sposò il figlio Alessandro non si conosceva nessun pastore,
quindi si sposò in chiesa cattolica: il prete Arturo non lo fece né
confessare né comunicare, lo aiutò in tante cose (questo fu nel 1924).
Prendiamo ad esempio il parroco Cozza: faceva il duro, voleva per
forza ragione, però aveva stima del "protestante".
Il protettore di Doviziosi [la borgata della comunità - n.d.r.] era
Sant'Ippolito, di cui esiste l'omonima chiesetta, davanti alla quale
ogni anno si faceva la festa con fuochi artificiali, spari e musiche.
Un giorno Francesco disse al prete: "Don Ciccio, perché bruciare
questi soldi? Perché non si danno ai poveri?" Da allora in poi, senza
più festa a Sant'Ippolito, fece parecchi maritaggi a ragazze povere [i
soldi delle feste servirono per la dote di numerose ragazze povere,
n.d.r.], perciò di quest'uomo (Francesco) portavano stima tutti, i
suoi consigli erano accettati da tutti.
Dovunque andava egli predicava la parola di Dio, qualunque persona
incontrasse non si vergognava, predicava con grande amore e desiderio
a ricchi e poveri, a qualunque genere di persona, con coraggio e senza
paura; nessuno osava affrontarlo, tutti credevano e gli davano
ragione, e lui diceva così: "Se voi vedete che avete torto in quanto
alle cose di Dio, e se il frutto che voi mangiate è velenoso, perché
lo mangiate?" Alcuni non si convertirono, perché Dio non li aveva
chiamati.
Ha saputo governare la sua famiglia, cui non è mai mancata la
provvidenza di Dio. Sebbene emigrato - Brasile, Argentina, Canada,
Stati Uniti, Africa (in Africa era quasi morto: ha avuto la febbre
gialla ma il Signore lo ha sempre difeso, protetto, nutrito e guarito)
- i figli li ha cresciuti meglio degli altri, e li ha mandati a scuola
anche se allora nessuno ci andava.
Durante la guerra del 1915-'18 aveva 4 figlie femmine e un maschio,
Alessandro, che fece tutta la guerra mondiale. Ritornò a casa sano e
salvo ma ferito da una pallottola; gli era entrata in bocca e gli
aveva tolto quattro denti, che si fece rimettere, e tutto si è
aggiustato.
LA SPAGNOLA
E' una malattia che risale alla fine della prima guerra mondiale:
l'infezione dei morti non seppelliti. I ragazzi sono morti in guerra e
le ragazze le ha uccise la febbre spagnola quasi tutte. Francesco ebbe
tutta la famiglia malata, ma era una famiglia protetta dal Signore;
egli ebbe la polmonite ma guarì. Erano tutti a letto infermi, la
moglie - che era la più debole, una donna magra e delicata - rimase
sana, non si ammalò: il Signore l'aveva lasciata per assistere i
familiari. Il figlio era in guerra, la prima figlia era sposata ma
pure malata di polmonite, e anch'essa guarì...
La seconda figlia Erminia - una signorina fidanzata - a 19 anni fu
colpita dalla meningite e polmonite: 8 giorni e il Signore la chiamò a
sé. Il Signore la volle perché era la più brava delle sorelle, più
intelligente più sapiente: una sartina, e non solo: sapeva fare tutto.
Adelina e Lauretta sono guarite, ma hanno ritenuto che lo ha voluto il
Signore perché ella, Erminia, era una specie di santa.
La tempesta passò, la vita della rassegnata famiglia riprese il suo
corso: i culti, la predicazione...
La parola di Dio ferveva sempre, lui andava avanti, lavorava il suo
campicello, la moglie e le figlie - che in seguito si sposarono - gli
stavano sempre accanto.
Il figlio ritornò sano e salvo dalla guerra e partì per gli Stati
Uniti, ma non abbandonò i suoi genitori, continuando a soccorrerli.
Ora è morto, e la sua famiglia si trova in America. Francesco rimase
solo con la moglie, ma le tre figlie sposate erano tutte vicine e
l'hanno assistito da sole.
Francesco diceva: "Io sono l'uomo più felice del mondo"; "Perché?" gli
dicevano, "Perché possiedo Gesù Cristo: questa è la mia gioia e la mia
ricchezza". Aveva la Bibbia sempre in mano, si cibava di preghiera,
lettura biblica e canti sacri. La vista lo ha accompagnato fino alla
morte. E visse 85 anni.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Francesco era sempre più fedele, la sua fede cresceva sempre di più,
s'impegnava a predicare e a pregare...
Cosenza subì molti bombardamenti e molti danni, tante case crollate...
Di quassù [a Dipignano, n.d.r.] si udiva tutto come se crollassero le
case nostre, quei rumori ci toccavano il cuore e chi lo aveva debole
moriva.
Per piccoli paesi come il nostro bombe non ne hanno sprecate, però la
paura c'era: scappavamo tutti di qua e di là come pazzi.
Per qualche mese Francesco si trasferì in campagna con la comunità,
nella sua casa colonica, e là si pregava e si parlava del Signore, e
si cantava.
C'era fame d'ogni intorno, ma il Signore non abbandonò Francesco, non
gli mancò nulla: non aveva pane solo perché nel suo campo c'erano
soltanto ulivi e non si coltivava il grano, ma il Signore glielo mandò
lo stesso; una buona donna impiegata a un forno gli procurava il pane,
non gliene faceva mancare - ordine del Signore - essa aveva bisogno di
olio e scambiavano col pane.
E non solo: tutta la comunità "fu provveduta": gli Americani ci
assistevano con pasta in abbondanza (che noi non vedevamo da tre
anni), e non solo: farina, latte in polvere, burro, scatolette
assortite, indumenti usati e scarpe...
Che grande provvidenza! Quanto è grande il Signore! Se non era per
questo, qualcuno della comunità sarebbe morto, ma il Signore ci ha
nutriti come nutrì il profeta Elia nel deserto, cui mandò il cibo:
gloria al Signore!
I Cattolici? Niente, ma Francesco li ha sempre aiutati, e sempre più
fortificava la sua fede e i suoi culti.
Diceva all'ora del culto: "Se mi offrissero tutto l'oro del mondo per
rinunciare al culto io direi di no: andate al diavolo voi e il vostro
oro".
Il fascio era contro gli evangelici; hanno fatto tanto male ai
cristiani evangelici, e specialmente ai Pentecostali: taluni venivano
cacciati fuori dalle sale con qualche bastonata. A Dipignano però non
abbiamo subito nulla: nessuno ci ha molestati, potevamo fare quello
che volevamo; agli altri era proibito cantare, e noi cantavamo a
squarciagola!
Io, che ho scritto, sono l'ultima figlia, i familiari sono tutti morti
e io ho 86 anni. Ho pensato che fosse necessario scrivere queste cose,
perché io me ne vado e chi resta deve sapere che l'opera di Francesco,
mio padre, è stata voluta da Dio; e chi legge può ben capire che è
l'opera del Signore.
A Lui sia la gloria, nei secoli dei secoli. AMEN.
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